
02 Dic 1a DOMENICA di QUARESIMA (anno B): UNA TRACCIA SCHEMATICA DELLA LITURGIA DELLA PAROLA
2a DOMENICA di QUARESIMA (Anno B) – omelia –
La TRASFIGURAZIONE:
un faro nel cuore della crisi
domenica 28 Febbraio 2021
(GLI ELEMENTI CONTENUTI IN QUESTA TRACCIA SI RITROVANO NELLA LECTIO UBICATA SU QUESTO SITO)
Gen 22,1-2.9.10-13.15-18
Sal 115
Rm 8,31-34
Mc 9,2-10
Ci sono dei monti davanti ai nostri occhi in questa messa: il monte su cui sale Abramo con il figlio Isacco, il monte dove Gesù si trasfigura e in lontananza, sullo sfondo del panorama liturgico c’è il monte Calvario con il grido di Paolo “Dio non ha risparmiato suo figlio”.
Il monte come il deserto sono i luoghi della Parola
La Quaresima è il tempo dell’ascolto qualificato della parola
PRIMA LETTURA: il sacrificio di Isacco – Dio provvede
L’altura è per antonomasia il luogo dell’appuntamento dell’uomo con Dio. L’essere supremo abita in alto, nei cieli (cfr. Mt 6,9), per questo l’uomo che desidera incontrarlo, parlargli si sente spinto a salire. Gesù ha cercato di smentire questa supposizione, affermando che Dio non si trova né sul Garizim, né sul Monte Sion (cfr. Gv 4,21), ma non sembra che abbia trovato molto ascolto. L’uomo quando si rivolge a Dio alza inevitabilmente lo sguardo al di sopra di sé. E un’istintività che nasconde anche una specie di alienazione, poiché in realtà l’essere supremo è soprattutto nell’intimo dell’uomo che si può incontrare.
Abramo è vittima di un’allucinazione ancora più grande. L’offerta dei primogeniti era corrente nel mondo cananeo. Costituiva un rito di propiziazione nei confronti della divinità. L’autore sacro e dietro lui Dio non è dello stesso parere e cerca di far conoscere apertamente la sua disapprovazione, dando una chiara esteriorizzazione o drammatizzazione alla prova. La sua portata o lezione diventa così più sicura.
L’invito a tali sacrifici sembrava all’uomo antico che provenisse da Dio, ma era un abbaglio; egli non solo non lo ha mai chiesto, ma lo rifiuta, lo condanna. Autore della vita Dio ne chiede e ne chiederà sempre il rispetto da parte di tutti (cfr. Es 20,13).
Il comando divino è perentorio, ma l’uomo, anche il cristiano stenterà sempre a capirlo, ad accettarlo. Colui che ha rifiutato la morte di Isacco, sembra poi compiaciuto dell’uccisione di Cristo, che ai suoi occhi diventa l’immolazione risarcitrice di tutti i torti subiti da parte dell’umanità. Non è certamente un’immagine ideale quella che egli lascia trapelare di sé; può darsi che sia più prudente guardarsene che contribuire a diffonderla.
SECONDA LETTURA
è un piccolo trattato di un grande inno di Paolo alla fedeltà e all’amore di Dio; è come un commento in musica alla prima lettura e al Vangelo
VANGELO
(Vedi lectio su questo stesso sito)
In genere quando leggiamo i Vangeli pensiamo solo alle cose che vi sono scritte e non a chi furono scritte né alla collocazione letteraria del brano (il testo nel contesto).
Nella struttura di Mc rappresenta un momento vertice, corrisponde alla scena del battesimo nella prima parte
– La preoccupazione di Gesù, in questa seconda parte del Vangelo, sono ora i discepoli e la loro educazione.
– La trasfigurazione, posta nel cuore della crisi (tra due predizioni della passione) è un faro nella notte, una luce sulla desolata conclusione del ministero di Gesù in Galilea. Trasfigurazione come tentativo di spiegare il senso della sofferenza umana e introdurre nella Passione.
Ascoltatelo: obbedienza alla Parola, obbedienza e sequela nell’orizzonte della consegna (a chi?); non la contemplazione estatica del meraviglioso (la fede non nasce da questo) né la paura paralizzante di fronte al cammino sulle strade di croci.
La posizione di Pietro (figura del tentatore): il “fere tre tende” è simile a 8,32-33 distogliere Gesù dal cammino della sofferenza e della croce; sviarlo dal cammino tracciato dal Padre. separarlo dalla solidarietà con la sofferenza dell’umanità peccatrice che nell’episodio del battesimo è resa con lo stare di Gesù nella folla dei penitenti Mc 1,5 E’ questa la perenne tentazione. Inquadrare Dio dentro i loro progetti umani.
Oltre i testi biblici
L’agonia di Abramo, l’agonia di Isacco, l’agonia di Cristo, l’agonia di ogni credente. La crisi della Passione, la solitudine nel dolore sono dati costanti nella vita di un credente.
Péguy scriveva: “E’ lo sperare la cosa più difficile, facile è invece disperare ed è la grande tentazione”.
Il credente, con la speranze nel “Dio provvede” è chiamato a Trasfigurare la realtà: con leggi profetiche e nessun profeta ha mai beneficato di interventi plateali di Dio; i profeti hanno sempre pagato e mai riscosso.
–> Dio è fedele alle sue promesse e non alle nostre richieste!
L’esperienza della Trasfigurazione la possono fare solo coloro che, abbandonata la pianura, salgono su un monte molto “elevato” che non è un monte materiale. Sul monte si ragiona in maniera di versa dalla pianura.
Si tratta di una esperienza di contemplazione Pietro può dire l’unica cosa umana possibile in quella situazione: Rabbì, è bello per noi essere qui! L’evangelista sottolinea l’ignoranza di Pietro (“non sapeva cosa dicesse”); lo stesso rimprovero fattogli poco tempo prima da Gesù: l’incapacità di pensare secondo Dio. In merito al commento dell’evangelista: «Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati» (9,6), c’è da annotare qualcosa di molto simile che si verificherà nella scena del Getsèmani dove, di fronte alla sofferenza del Maestro, Pietro, Giacomo e Giovanni, addormentati, non sanno cosa dire: «non sapevano che cosa rispondergli» (Mc 14,40). L’espressione è simile a quella di 9,6.
La visione deve cedere il passo alla Parola. Questa Parola sta dentro una nube. Simbolo della presenza di Dio, la nube contiene la risposta alle due questioni poste all’inizio: chi è Gesù? Come seguirlo? Per seguirlo, bisogna porsi in ascolto più che in visione. L’indicazione è forte e chiara ed è la premessa alla scomparsa della nube, che coincide con la scomparsa di Mosè ed Elia dallo scenario.
La Parola di Dio si fa silenzio lasciando “Gesù solo con loro” (v.8). Resta il Gesù quotidiano, che parla agli uomini nelle loro Galilee e nei loro deserti. Il Gesù assente, che non si vede, ma si ascolta.
Ai discepoli resta la Parola: “trattennero presso di loro la Parola” (v.10a). È quanto resta ai discepoli di ogni tempo che continuano ad interrogarsi su “cos’è questo risorgere dai morti” (v.10b). L’ascolto della Parola convive con gli interrogativi cruciali dell’esistenza, ma anche con quei momenti in cui è possibile una nuova esperienza di “monte”.
la Chiesa, del monte della trasfigurazione non è composta da gruppi anarchici di estatici (Elia e i profeti dello strabiliante), né da un gruppo di diplomatici (Mosè e la Legge) alle prese con la difesa delle proprie strutture, ma è una comunità attenta alle sofferenze proponendo prassi di vita che si misurano con gli “ultimi” che costituiscono sempre il parametro con cui confrontarsi.
La cenere e il catino sono le due grandi prediche quaresimali della Chiesa. Le altre forse si dimenticano subito; ma quella della cenere e dei due catini del giovedì santo no: perché parlano un linguaggio pesante: il catino di Pilato e quello dell’ultima cena di Gesù.
Quella cenere leggera, che scende tra i capelli e che poi ti ritrovi il mattino seguente, sul guanciale, fa pensare per un attimo alle squame già cadute dalle croste del nostro peccato; così come quel tintinnare dell’acqua nel catino la sera del giovedì santo, tra il levarsi di una brocca, un asciugatoio e il sigillo di un bacio su un piede, in contrasto con l’altro catino (quello di Pilato), costituisce una predica strana vissuta senza parole e senza retorica, ma ricca di tenerezze.
L’invito, sostiene don Tonino Bello, è a percorrere questo viaggio quaresimale tra pentimento e servizio, tra cenere e acqua: ingredienti del bucato di un tempo; ma, soprattutto, simboli di una conversione completa, che vuole afferrarci finalmente dalla testa ai piedi.
(A cura del Monaco del Mondo)
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