14 Giu II DOMENICA dopo Pentecoste: SS. CORPO e SANGUE di CRISTO (anno C) traccia di omelia – 19 Giugno 2022 –
IL MEMORIALE DEL SIGNORE
(Gen 14,18-20; 1 Cor 11,23-26; Lc 9,11b-17)
L’eucarestia è al centro della liturgia cristiana. Ogni celebrazione, in qualsiasi tempo dell’anno, ora del giorno si svolge intorno alla mensa del Signore. E per questo necessario che, una volta tanto, l’attenzione dei fedeli si fermi a meditare sul grande mistero della fede. Il gesto con cui Gesù chiude la sua esistenza terrena (2a lettura) sembra trovare un ‘anticipazione negli stessi primordi della storia biblica (1a lettura), ma soprattutto nei sottintesi di certe sue operazioni salutari (vangelo).
1. Prima lettura «Sacerdote dell’altissimo» (Gen 14,18)
L’episodio di Melchisedeq è un racconto eziologico, deve cioè servire a spiegare la superiorità, o supremazia del sacerdozio o dell’autorità sacra su qualsiasi eventuale potestà esistente in Israele. Né il nome, né la città (Salem) hanno riscontri storici, né l’episodio si inserisce coerentemente nel contesto in cui è stato collocato (vv. 17-21).
In tutti i tempi della storia sacra reggia e tempio, monarchia e clero si sono contesi il primato sulla nazione; ma nel periodo postesilico il sacerdozio è l’unico, incontrastato erede e depositario della suprema autorità sul popolo di Dio. Melchisedeq è un personaggio simbolico; nella sua persona si trovano raccolte le due potestà, regale e sacerdotale. Egli ne è l’espressione. E se Abramo ha dovuto pagare a lui la decima, vuol dire che il popolo che da lui discende gli è sottomesso. La fine della monarchia (esilio) sembrava aver fatto smarrire gli animi; ora, nella restaurazione postesilica, le speranze si ridestano per opera di intraprendenti ministri del santuario (v. Esdra e Neemia). Sono i sacerdoti dell’altissimo dai quali il popolo può continuare ad attendere la liberazione.
Solo indirettamente, in quanto l’antico Testamento è illustrazione del nuovo (cfr. Rom 15,4), può esser vista nell’oscuro personaggio una prefigurazione del messia (cfr. SI 110,4) e nella sua offerta una vaga allusione alla cena eucaristica.
2. Seconda lettura «Annunziate la morte del Signore» (1Cor 11,26)
Paolo è il testimone e, insieme, l’interprete della cena del Signore. Più di ogni altro egli ricorda come essa si celebrava nelle prime comunità cristiane: al termine o nel corso di una fraterna refezione (agape) e dopo aver verificato il grado di carità tra i membri dell’assemblea. Se prevaleva la disattenzione ai più bisognosi, quindi l’egoismo, la celebrazione doveva ritenersi «indegna», in termini più correnti sacrilega (vv. 27-29).
La cena, ricorda l’apostolo, non è stata istituita dalla chiesa per commemorare l’azione salvifica di Cristo, ma da Gesù stesso («dal Signore») per ricapitolare e trasmettere nei secoli successivi il senso della sua vita spesa per le moltitudini. Il pane spezzato che offre ai suoi deve richiamare alle loro menti il suo corpo messo a morte, pure esso perciò spezzato dai suoi nemici per non essersi piegato alle loro pressioni. Allo stesso modo la coppa di vino che porgeva ad essi rievocava il suo sangue che stava per essere sparso sulla croce. Il piano simbolico e il piano reale si integrano reciprocamente. Gesù è vissuto e morto per gli altri, per riproporre loro l’amicizia divina («nuova alleanza») e insieme instaurare un regime di mutua comprensione tra gli uomini, basato sul riconoscimento dei diritti di tutti, in particolare dei poveri, dei deboli, dei malati, degli oppressi. Per questa causa «ha dato» la vita. Nel corso dell’ultima cena chiede ai suoi discepoli presenti e futuri, di ritrovarsi di tanto in tanto («ogni volta») insieme a «ricordare», ossia riattualizzare quello che egli ha compiuto per loro, per tutti, impegnandosi a fare altrettanto.
La «memoria» che invoca non si realizza nello spezzamento del pane e nel versamento del vino (gesti facili a ripetersi), ma nel compromettere, come egli aveva fatto, la propria vita per il bene di tutti. Il rito è importante per risvegliare il «ricordo» di quanto egli aveva compiuto, per provocare gli animi a operazioni analoghe, ma non avrebbe potuto sostituire le operazioni stesse. I gesti di Gesù erano stati significativi perché preceduti da azioni salutari; senza di queste sarebbero puramente coreografici.
La cena è un annunzio della morte del Signore appunto perché ne rende note le ragioni per cui l’ha subita (in ossequio al volere del Padre, ma per amore ai fratelli) e segnala ai partecipanti cosa è richiesto da essi. Il «pane» di cui ci si nutre e il «vino» che si è invitati a bere non hanno importanza per quello che sono, ma per quello che significano, rievocano, esigono. Se si perde di vista questa dimensione, si «mangia e si beve la propria condanna».
3. Vangelo «Li spezzò e li diede ai discepoli» (Lc 9,16)
La moltiplicazione dei pani è l’unico miracolo che tutti gli evangelisti ricordano. Se ne hanno sei racconti: segno evidente della sua portata. È difficile conoscere le modalità e le proporzioni dell’avvenimento originario, ma rimane sempre in primo piano la preoccupazione di Gesù per le necessità materiali dell’uomo. Anche se Luca omette di ricordare la sua «commiserazione» per la folla (cfr. Mt 14,15) non vuol dire che sia rimasto insensibile davanti alle difficoltà in cui essa si trova.
Gli evangelisti, invece di ricordare ciò che è accaduto in quel giorno in riva al lago di Tiberiade, si preoccupano di ricalcare situazioni analoghe che si sono verificate nella precedente storia della salvezza (il miracolo della manna: Es 16,1,9: la moltiplicazione dei pani operata da Eliseo: 2Re 4,42-48) e pensano all’ultima cena pasquale celebrata da Gesù con i suoi. In questa inquadratura i particolari descrittivi sono diventati simbolici. Il «deserto» richiama l’esodo; la disposizione in gruppi di cinquanta ricorda l’ordinamento mosaico per la conquista della terra promessa (cfr. Es 18,25) e per tal motivo Luca ha escluso dal computo le donne e i bambini (cfr. Mt 14,21); i «cinque pani» non possono non far pensare ai cinque libri della nuova legge che sfama il popolo di Dio in marcia verso la sua meta.
La comunità che rilegge la moltiplicazione dei pani sta preparandosi alla celebrazione della cena del Signore; una lenta osmosi ha finito per pianificare i due racconti. Nonostante che i partecipanti si trovino nel deserto, è detto che sono «sdraiati» (attorno a una mensa) come nell’ultima cena (cfr. Le 22,14). Anche i gesti di Gesù sono gli stessi: «presi i pani» («prese del pane»: 22,19), «li benedisse» («rese grazie»: 22,19), «li spezzò» («lo spezzò»: 22,19), «e li dava» («e lo diede»: 22,19). Cfr. Lc 24,29. I quattro verbi dell’istituzione eucaristica ritornano insieme solo nel racconto della moltiplicazione dei pani.
Al centro dell’attenzione non è più il miracolo dei pani, ma il miracolo eucaristico; non il pane materiale, ma l’alimento che nutre la vita spirituale del credente.
CONCLUSIONE
La moltiplicazione dei pani è innanzitutto un’agape fraterna. L’invito a sedersi gli uni accanto agli altri segnala la premessa per partecipare alla celebrazione eucaristica. Il comando «date voi loro da mangiare» risuona in perpetuo nella comunità cristiana fin tanto vi sarà qualcuno bisognoso di nutrimento, spirituale ma anche materiale.
Rileggere o riascoltare il miracolo della moltiplicazione dei pani senza provare a riattualizzarlo nella propria vita, cercando di alleviare le necessità dei bisognosi, di abbassare il livello di fame nel mondo, non è annunciare la buona novella, ma trastullarsi in giochi inconcludenti.
UNA NOTA
Alcuni chiedono: “Ma … ci fu il miracolo? o fu solo condivisione?”
1. La parola Miracolo (miraculum) viene dal verbo ammirare. Un miracolo è un’azione straordinaria, fuori dal normale, che causa ammirazione e fa pensare a Dio. Il grande miracolo, il più grande di tutti, è
a. Gesù stesso, Dio fatto uomo! E’ così straordinariamente umano, come solo Dio può essere umano!
b. Un altro grande miracolo è il cambiamento che Gesù riesce ad ottenere nella folla, abituata a soluzioni dal di fuori. Gesù riesce a fare in modo che la folla affronti il problema a partire da se stessa, a partire dai mezzi di cui dispone.
c. Grande miracolo, cosa straordinaria, è che mediante questo gesto di Gesù, tutti mangiarono ed il cibo avanzò! Quando si condivide, ce n’è sempre… ed avanza!
Quindi sono tre i grandi miracoli: Gesù stesso, la conversione delle persone, la condivisione dei beni che genera abbondanza! Tre miracoli nati dalla nuova esperienza di Dio come Padre, rivelataci da Gesù. Questa esperienza di Dio cambiò tutti gli schemi mentali e il modo di vivere: aprì un orizzonte totalmente nuovo creando un modo nuovo di vivere insieme agli altri. E’ questo il miracolo più grande: un altro mondo è possibile!
2. : E’ difficile sapere come sono avvenute di fatto le cose. Nessuno sta dicendo che Gesù non fece il miracolo. Ne ha fatti, e molti! Ma non dobbiamo dimenticare che il miracolo più grande è la risurrezione di Gesù. Per la fede in Gesù, la folla comincia a vivere in un modo nuovo, condividendo il suo pane con i fratelli e le sorelle che non hanno nulla e che sono affamati: “E tutti distribuivano ciò che avevano, e non c’era bisognoso tra di loro” (cf. Atti 4,34). Quando nella Bibbia si descrive un miracolo, l’attenzione maggiore non viene posta nell’aspetto miracoloso in sé, bensì nel significato che ha per la vita e per la fede delle comunità che credono in Gesù, rivelazione del Padre.
Nel così detto “primo mondo” dei paesi detti “cristiani”, gli animali hanno più cibo degli esseri umani “del terzo mondo”. Molta gente ha fame! Vuol dire che l’Eucaristia non ha ancora la profondità e la portata che potrebbe e dovrebbe avere.
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