UN POPOLO RIFIUTATO: I ROHINGYA

UN POPOLO RIFIUTATO: I ROHINGYA

Li hanno definiti, con un’espressione che sintetizza la loro storia e la loro vicenda: “Il popolo che nessuno vuole”. La loro tragedia fatica a conquistare le prime pagine dei giornali o tro­vare posto nell’agenda internazionale dei Grandi della Terra. Qualche accenno, una tantum, ma niente di più. Eppure, la tragedia dei Rohingya meriterebbe ben altra attenzione dei media e, soprattutto, ben altro impegno della comunità internazionale. 

Un gruppo etnico di religione musulmana

Il popolo dei Rohingya, gruppo etnico di religione musulmana, che da secoli vive nello stato di Rakhine, nel Myanmar occidentale, è protagonista, da decenni, di una vicenda tormen­tata, segnata, negli ultimi sei anni, da violenza e sfollamento forzato. Nel 1982 una legge sulla nazionalità, applicata dalla giunta militare allora al potere in Myanmar, negò la cittadi­nanza ai Rohingya, privandoli delle libertà e dei diritti che ne conseguivano, rendendoli di fatto “apolidi”. Vivendo da stranieri nella loro stessa terra, nel 2017 i Rohingya hanno subito violenze e persecuzioni che li hanno costretti a fuggire dalle loro case e ad attraversare il confine con il vicino Bangladesh.

Attualmente, più di un milione di Rohingya sono stati ammassati nei campi nel sud-est del Bangladesh, il più grande insediamento di rifugiati del mondo. La maggior parte è fuggita dalla repressione dell’esercito birmano quasi sei anni fa, anche se alcuni sono lì da più tempo.

Programma alimentare ridotto

Il 1° giugno scorso, il programma alimentare mondiale ha ridotto l’allocazione alimentare mensile a 8 dollari a persona dai 10 dollari precedenti. A marzo, il taglio delle razioni era stato ridotto da $ 12 a $ 10 a causa di una riduzione degli aiuti globali per i rifugiati.

La vita nei campi profughi che li accolgono, per i loro bisogni primari, è garantita dai contri­buti internazionali. Le agenzie umanitarie hanno fatto appello per oltre 876 milioni di dollari quest’anno per sostenere i Rohingya in Bangladesh. A giugno 2023, il piano di risposta con­giunto per sostenerli era finanziato solo per il 24%.

La maggior parte di loro non ha lo status ufficiale di “rifugiato”, che garantirebbe loro specifici diritti e tutele. In Bangladesh i Rohingya sono ufficialmente designati come “cittadini birmani sfollati con la forza”.

Tra assistenza negata e violenze

Nelle condizioni di sfollamento, l’istruzione non va oltre la scuola elementare. L’assistenza sanitaria è di difficile accesso, soprattutto per le donne. “La violenza di genere e i matrimoni precoci sono così comuni che sono stati perfino normalizzati”, nota la Ong bangladese Rangpur Dinajpur Rural Service (RDRS), che, dal 2019, accompagna i rifugiati Rohingya, affrontando questioni come la generazione di un reddito, l’attenzione alla vita delle donne, ai giovani e alle persone con disabilità. La priorità è “Salute e istruzione per tutti”, afferma la Ong, che opera anche in risposta ai disastri. Nel 2021, infatti, è scoppiato un incendio in uno dei campi e si è diffuso rapidamente attraverso i rifugi di bambù e teloni. Più di recente i rifugiati Rohingya hanno affrontato il devastante impatto del ciclone Mocha, che ha colpito gravemente tutti e 33 i campi profughi di Cox’s Bazar e i villaggi circostanti, lasciando migliaia di persone in disperato stato di necessità.

Rifiutati dal governo del Myanmar

I Rohingya – la cui situazione rappresenta una delle crisi dei rifugiati più imponenti a livello planetario, oggetto di diversi appelli di Papa Francesco, temono di essere dimenticati. I Rohingya vogliono tornare alle loro case in Myanmar in condizioni di sicurezza e con dignità, ma attualmente il governo del Myanmar non intende accoglierli, tanto più perché, dopo il colpo di Stato militare del 1° febbraio 2021 e la guerra civile in corso nel paese, risulta im­possibile ogni ipotesi di rientro in patria. Per questo, migliaia di profughi sono già fuggiti in Malaysia e Indonesia, pagando i contrabbandieri. L’emergenza continua, dice l’UNHCR, no­tando che i rifugiati sono esausti, affamati e malati, bisognosi di protezione internazionale e assistenza umanitaria. Ad operare tra i Rohingya vi è anche la Caritas Bangladesh con pro­getti per l’alloggio, l’istruzione, il cibo, l’assistenza sanitaria.

In occasione della Giornata mondiale del rifugiato, celebrata il 20 giugno, un documentario intitolato “Where Will I Go” narra le strazianti esperienze dei rifugiati Rohingya a Cox’s Ba­zar. Il film, diretto e prodotto dal regista indiano Khalid Rahman, mira a sensibilizzare sulle condizioni disumane, la violenza e l’oppressione subite dal popolo Rohingya in Myanmar, con un focus sul riconoscimento legale, la giustizia per le vittime e la sensibilizzazione glo­bale, per difendere la dignità e i diritti della comunità Rohingya.

Foto da Flickr by DFID – UK Department for International Development is licensed under CC BY 2.0.

a cura della Redazione su base Agenzia Fides

(cfr. Presenza Cristiana 5/2023)

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