LE BELLE FAMIGLIE DI UNA VOLTA

LE BELLE FAMIGLIE DI UNA VOLTA

Una rubrica sui temi della famiglia non può avere la pretesa di distribuire certezze assolute, verità inconfutabili. Si naviga su un mare che non conosce confini, si naviga a vista, usando tutti gli strumenti possibili, consci, però, della loro provvisorietà. Può solo offrire piccole pillole, per resistere al mal di mare, quando questo è mosso più del solito.

Un’immagine di famiglia

Partiamo da una frase che sentiamo ripetere spesso intorno a noi: “Non ci sono più le belle famiglie di una volta”. Questa frase è falsa, ma allo stesso tempo è vera.

Falsa, perché ci riferiamo ad un modello di famiglia ideale, non storico. Una famiglia ideale non è mai esistita nella storia, è solo presente nella nostra mente, costruita con tasselli di famiglie appartenenti ad epoche diverse, è un collage.  

Falsa, perché “una volta” è un tempo mitico, non collocabile in un’epoca definita, un tempo al quale facciamo riferimento, proprio perché nella sua inesistenza non ci costringe a una verifica, che ci lascerebbe scontenti e frustrati.

Vera, perché la famiglia appare oggi destabilizzata, senza modelli definiti ed omologati, in continuo cambiamento, strutturata su dinamiche che mentre cerchiamo di definire si trasformano sotto i nostri occhi. E questo crea sbandamento, perplessità, incertezza, in una parola, ansia, perché si finisce col restare senza modelli a cui aggrapparsi. Prima, la famiglia, nel bene o nel male, era un treno che camminava sulle rotaie, oggi è un aereo che vola libero nell’aria.

La famiglia di ieri

Il sorgere del sistema familiare, fino all’epoca moderna, si organizza prevalentemente intorno al gruppo o clan. Non ci sono due individui che si incontrano e decidono autonomamente un loro progetto di vita, non c’è una coppia, ma due gruppi, già strutturati e costituiti come sistema preesistente alla coppia. Un sistema esteso, ramificato e soprattutto strutturato, all’interno del quale primaria è la gestione di un patrimonio comune, che comprende la terra, e poi i beni, i figli e la stessa sessualità.

All’interno di questo sistema, centrale è l’immagine paterna, come garanzia per la difesa del gruppo. La moglie, i figli sono parte di questo sistema: costituiscono un bene che appartiene al gruppo e di conseguenza sono tutelati, curati, assistiti finché sono funzionali al gruppo stesso.

Se uno di loro diventa di intralcio al gruppo, rischia di mettere in pericolo l’esistenza del gruppo, allora va eliminato. È quanto succede nelle famiglie mafiose. Ciò che conta è la fedeltà alla famiglia mafiosa di appartenenza. Se uno tradisce, fosse anche il proprio figlio, la propria sorella, va eliminato, messo fuori dal gruppo, isolato, considerato un estraneo, un nemico.

Alcuni aspetti di questo modello familiare li ritroviamo, ancora oggi, in precisi contesti culturali. In Iran, Afganistan e altri paesi d’Oriente, i matrimoni combinati, le spose bambine, non sono di scandalo a nessuno, anzi, costituiscono la norma alla quale non è possibile sottrarsi.

Ma anche nel nostro civilissimo Occidente, è sorprendente quanto, ancora nel 1952, l’Enciclopedia, curata da Luigi Salerno e pubblicata dalla Hoepli, alla voce adulterio parla solo della donna, sostenendo che «l’elemento morale del delitto di adulterio consiste nel contatto carnale da parte di una donna maritata con un uomo che non sia il marito» e più avanti «Una moglie tradita può essere compianta, un uomo ingannato è ridicolo se ignora, disonorato se sopporta, vituperevole se accetta cinicamente il suo stato». Passando tranquillamente sopra il reciproco rispetto e la parità fra moglie e marito.

La famiglia di oggi

È inconfutabile che oggi la famiglia nasce da due individui in virtù di un sogno comune. Primario è il rapporto di maternità e paternità. I beni sono legati alla coppia per i figli. Un passaggio lentissimo, graduale, dai confini molto sfumati. Dal clan alla coppia sono passati tempi infiniti, attraverso esperienze spesso drammatiche.

L’odierna linea di tendenza sembra forzare l’individualità all’interno della coppia. Non più il clan, ma nemmeno la coppia. Prioritario è l’io, la singolarità. Tutto il resto, la coppia stessa, i figli, sembrano dover concorrere al sostegno dell’io. Il grande cambiamento sta in questa dimensione dell’individualità aperta ad ogni possibilità. E non è un problema etico, traducibile in termini di altruismo o egoismo, non è nemmeno una spinta ideologica, l’affermazione di una linea di pensiero, ma una serie di abitudini, comportamenti, indotti dai cambiamenti storici, dalla cultura del tempo.

E non c’è un rapporto diretto, lineare, di causa ed effetto, fra questi comportamenti e i modelli di famiglia, ma solo un incrociarsi di eventi, fatti, mode, che hanno finito per determinare nuovi equilibri e nuove dinamiche all’interno del sistema familiare.

Il lavoro, per esempio, è diventato man mano un obiettivo, una missione. Si lavora non solo per un progetto familiare, ma per la realizzazione della propria identità. È il lavoro che realizza, è ciò che si fa che conta. E questo non solo per il marito, ma anche per la moglie. Dalla società preindustriale, dove tutti lavorano alle dipendenze del capofamiglia, a cui spetta il compito di rappresentante all’esterno, siamo passati alla società industriale, dove l’uomo va fuori a lavorare e la donna rimane a fare la casalinga, e poi alla società postindustriale, dove assistiamo ad un nuovo ribaltone con la figura femminile in ruoli produttivi, ma anche istituzionali. 

L’architettura delle case. Potrebbe sembrare banale sostenere che l’architettura delle case moderne possa avere un’influenza sulle dinamiche familiari. Eppure è facile riflettere e dedurre che nelle vecchie case, l’intersecarsi di una stanza con l’altra favoriva, se non costringeva, all’incontro. Le case moderne, dove i corridoi separano le singole stanze, facilitano la scelta dell’isolamento, riducono le occasioni di incontro.

Lo sviluppo di una cultura dell’immaginario e perciò del sogno, della fantasia, del superamento del limite, qualunque esso sia è un altro elemento determinante. La televisione, internet, facilitano la confusione tra virtuale e reale. Tutto è possibile e perciò stesso lecito ed utile. Anche il confronto con l’altro finisce col non essere reale. Si può costruire su una piattaforma senza mai incontrarsi, senza nemmeno conoscersi realmente, ma tanto basta per occupare un tempo e uno spazio di relazione.

Il distacco della produzione da un luogo stabile e definito. Si torna mentalmente ad essere nomadi. Sfuma il gruppo che ha bisogno di spazialità e col gruppo sfuma pure la famiglia, che può essere solo virtuale. Non si ha più bisogno di una casa propria. Mentre per il vecchio emigrante il sogno di una vita era ritornare al paese e costruirsi una casa, i nuovi emigranti, se di emigranti si può parlare per quelli che si spostano da un emisfero all’altro, seguendo i bisogni dell’azienda, la casa è concepita come il carapace per la tartaruga.

In un mondo che cambia troppo velocemente è proprio nella mancanza di tempo necessario per assimilare i cambiamenti, che si evidenziano le difficoltà. La famiglia medioevale non era certamente migliore di quella attuale, ma non creava troppa sofferenza, perché i modelli comportamentali diventavano, col passar del tempo, naturali. Ai nostri giorni i cambiamenti sono tanti e sono veloci e questo non permette il riformarsi degli equilibri necessari. È come se si vivesse sempre in una situazione di emergenza.

Che fare?

Una prima cosa da fare è prendere coscienza dei cambiamenti e viverli senza sensi di colpa. I cambiamenti, in atto nei contesti sociali, passano sopra le nostre teste, noi dobbiamo solo imparare a gestirli. Preoccuparsi di quale modello di famiglia sarà prevalente domani, è soltanto motivo di ansia e di sterile lamentela. Non è un modello di famiglia, in quanto tale, che possa garantire il futuro dell’umanità, non è un modello certificato da una legislazione ottimale che possa risanare gli equilibri perduti.

Se la famiglia è un sistema relazionale, le relazioni rispondono a dinamiche proprie dell’individuo, e non a disposizioni legislative. E sulla relazione che bisogna puntare, sull’importanza dei processi educativi in tal senso. Ci si educa alla famiglia educandosi alle relazioni.

E i processi educativi vanno vissuti come tentativo di soluzione, non come certezza di soluzione, in un clima di progettualità, capace di guardare al futuro, non di rimpiangere il passato. Se non c’è progettualità non c’è speranza e senza speranza non si diventa costruttori di umanità.

Ma non si può costruire un’educazione alla speranza se il presente viene descritto come negativo rispetto al passato, se la generazione dei genitori viene giudicata migliore rispetto a quella dei figli, se la famiglia dei nonni è un ricordo invidiato.  

In un contesto storico, dove la speranza, quale dimensione dell’uomo, sembra scomparire, diventa più impellente il bisogno di affermarla. Ricordandoci che siamo un popolo in cammino, verso una terra promessa. Il deserto è sempre quello che ci lasciamo alle spalle, la schiavitù d’Egitto è il nostro passato, la terra promessa è davanti a noi. La bella famiglia non può essere quella di una volta, ma quella che ognuno di noi cerca di costruire, con i modelli che la storia mette a disposizione, come proprio futuro di vita.

di Antonio Gentile

(Cfr. Presenza Cristiana 1/2024)

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