CARCERI ITALIANE, TRA SOVRAFFOLLAMENTO E SUICIDI: QUALE RIEDUCAZIONE?

CARCERI ITALIANE, TRA SOVRAFFOLLAMENTO E SUICIDI: QUALE RIEDUCAZIONE?

La presentazione, ad aprile scorso, del XX rapporto dell’associazione “Antigone”, sulle condizioni di detenzione in Italia, è stata l’opportunità per riportare all’attenzione, mediatica, politica e sociale, la criticità delle strutture carcerarie in Italia e la loro difficile funzione rieducativa. “Antigone” ha fornito dei dati, da cui emerge l’aumento delle presenze in carcere e dei suicidi (soprattutto tra giovanissimi), il sovraffollamento con il degrado e la difficile genitorialità. È questa la fotografia scattata dal rapporto “Nodo alla gola”: titolo non a caso, perché l’impiccagione resta il metodo più usato per uccidersi in carcere. L’indagine ha analizzato 99 istituti presenti in Italia, dal 2023 ad oggi. Al 31 marzo 2024, sono 61.049 le persone detenute, a fronte di una capienza ufficiale di 51.178 posti. Nell’ultimo anno, la crescita carceraria è stata, in media, di 331 unità al mese. Ma, all’aumento della popolazione detenuta, non corrisponde un aumento del numero dei reati. Dal 1° gennaio al 31 luglio 2023, erano stati commessi, in Italia, 1.228.454 delitti: il 5,5% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Aumentano anche i giovani reclusi negli istituti minorili: alla fine del febbraio 2024 erano 523 nei 17 Istituti penali per minorenni (Ipm) d’Italia. Una cifra che sta rapidamente crescendo, a seguito anche del DL Caivano”.

“NESSUNO TOCCHI CAINO”

La drammaticità del sistema carcerario è denunciata, sia dal presidente di “Antigone”, Patrizio Gonnella, sia da Sergio D’Elia, segretario di “Nessuno tocchi Caino”, la lega internazionale, di cittadini e parlamentari, per l’abolizione della pena di morte nel mondo. Quest’ultima è un’associazione senza fine di lucro, fondata a Bruxelles nel 1993, il cui nome, “Nessuno tocchi Caino”, è tratto dalla Genesi e significa “giustizia senza vendetta”. «Il sovraffollamento sta sfiorando la soglia critica di dieci anni fa, spiega D’Elia; al 31 gennaio scorso, le presenze di detenuti, nei 189 istituti penitenziari, ha raggiunto quota 60.637 su 47.500 posti disponibili: ogni mese, i detenuti aumentano di oltre 450 unità. Un trend che ci porterà, a fine anno, agli stessi livelli per i quali, nel 2013, fummo condannati dalla Corte EDU, con la sentenza Torreggiani, per sistematici trattamenti nelle carceri, contrari al senso di umanità». «Il sovraffollamento rende il carcere un luogo di privazione, sia della libertà, sia della salute fisica, psichica e della stessa vita, non solo dei detenuti, ma anche dei “detenenti”, come Pannella chiamava gli operatori penitenziari, in quanto vittime anche loro, insieme ai detenuti, delle stesse condizioni inumane e degradanti. Lo Stato, almeno, si preoccupasse dei suoi servitori: direttori, educatori, poliziotti penitenziari sotto organico, vittime anche loro del degrado delle carceri, costretti, oltre ai turni massacranti, a lavorare anche in luoghi malsani e violenti, patogeni e criminogeni.

LE CARCERI “CIMITERI DEI VIVI”

Filippo Turati, all’inizio del secolo scorso, chiamava le carceri “Cimiteri dei vivi”. Nulla è cambiato: il carcere è un luogo, dove si è concentrato tutto ciò che di inumano, incivile e mortifero esiste. Tali sono le celle di isolamento, le sezioni di osservazione, i reparti di transito e di assistenza, detta “sanitaria”, del “carcere normale”, dove sono accomunati i “tossici”, i malati terminali e mentali, i minorati fisici, che, in altri tempi, stavano in luoghi di cura, non di pena. In Italia, non c’è differenza: nel degrado, tutto è uniforme verso il punto più basso in cui è precipitata l’esecuzione della pena…ormai fuori legge, contro la costituzione e i principi sacri del diritto umanitario interno e internazionale». In queste condizioni, secondo D’Elia «è impossibile pianificare qualsiasi obiettivo di rieducazione e inserimento sociale. Bisogna portare il sistema a un livello sostenibile di vita. Il carcere è un ecosistema limitato, non può cresce all’infinito. Purtroppo, è trattato, come un contenitore, che va soltanto riparato, perché fa acqua da tutte le parti; ampliato perché contenga sempre di più i rifiuti della società. Ma il suo contenuto umano e il recupero delle persone, con il loro reinserimento sociale, non interessano: l’importante è contenere, ma il contenitore non basta più, ha superato la sua capacità di carico. Ci vorrebbero, non solo l’aumento dei giorni di liberazione anticipata per buona condotta, ma ben altri e consistenti atti di clemenza, come amnistie e indulto, riforme strutturali, necessarie per contenere il sovraffollamento nelle carceri e il sovraffollamento nei tribunali, paralizzati da 5 milioni di processi penali pendenti». «Il degrado fisico dell’edificio penitenziario – spiega ancora D’Elia – non è altro che la fotografia del degrado umano, morale e civile dell’istituto-carcere, un luogo anacronistico, ormai fuori dal mondo e fuori dal tempo: un sistema a cui non crede più neanche lo Stato. Tant’è che lo stesso Stato lo considera un sistema irriformabile. Ma il problema non si risolve con la costruzione di nuove carceri o col recupero delle caserme dismesse. E poi, con quali soldi, in quanto tempo, con quale personale di polizia penitenziaria? Le cause dirette dei cosiddetti “eventi critici”, che sono all’ordine del giorno, in carcere vanno ricercate nel sovraffollamento e nel degrado generale del sistema penitenziario, a cui si aggiunge la carenza strutturale di operatori, educatori, psicologi, psichiatri…, senza tralasciare il problema lavoro, scuola e rapporti affettivi… Tutto questo porta ai suicidi, agli atti di autolesionismo, alle aggressioni verso gli agenti di custodia e ai pestaggi dei detenuti. I suicidi, poi, tra la popolazione detenuta, sono 20 volte di più, rispetto alla media nazionale della popolazione libera: non era mai accaduto nella storia del nostro Paese che in un anno, il 2022, ben 84 detenuti si togliessero la vita, mentre l’anno scorso sono stati 68 e, dall’inizio di quest’anno, sono già 34, a cui vanno aggiunti i 4 agenti della polizia penitenziaria, che si sono tolti la vita, e le decine di morti, per cause dette “naturali”…, semmai è possibile definire “naturale”, e non criminale, la morte in carcere di un essere umano! Con questo ritmo, alla fine dell’anno, si registrerà la terrificante statistica di 150-160 detenuti suicidi, rischiando, in tal modo, di superare ogni record italiano ed europeo».

BAMBINI DIETRO LE SBARRE

Un altro dramma, che si consuma in carcere, è la presenza di figli minori con le proprie madri detenute. Lia Sacerdote è la fondatrice dell’associazione “Bambini senza Sbarre”, attiva su tutto il territorio. Da oltre vent’anni, è impegnata nell’individuare un percorso di accompagnamento del minore e dei genitori detenuti, nella loro esperienza di separazione e nella necessità di mantenere viva la relazione tra di loro. «Il rapporto tra detenuto e famiglia (nello specifico figlio/figlia) è un tema cruciale – afferma Lia Sacerdote – La famiglia del detenuto vive una specie di “detenzione in libertà, sul territorio”. La questione, sotto l’attenzione dell’istituzione carceraria, è poter mantenere la relazione, quale bisogno, diventato diritto con la Carta che abbiamo firmato nel 2014. Il minorenne, o il bambino, ha diritto ad entrare in carcere per incontrare il genitore e mantenere quella relazione che è fondante per il suo processo di crescita. Questo è in continuità con l’articolo 9 della Convenzione dell’Onu sull’infanzia. Inoltre, costituisce prevenzione sociale, perché, dalle statistiche, emerge che, se non c’è un accompagnamento di questi ragazzi, c’è il rischio che si profili un destino di carcere: una sorta di continuità di detenzione tra generazioni, che va interrotta. Il paradosso è accompagnare i bambini in carcere, rendendo questo luogo educativo. Questo è un diritto del piccolo e del genitore, che desidera mantenere il proprio ruolo, separando il reato dalla persona, perché il figlio deve capire che si può sbagliare, ma non ha un genitore sbagliato: un genitore è uno che ama e questo rapporto va protetto».

“PARTITA CON MAMMA E PAPÀ”

“Bambini senza sbarre” ha avviato l’ottava edizione della “Partita con mamma e papà”: l’atteso incontro tra genitori detenuti e i loro figli, che apre le porte, degli istituti penitenziari alle famiglie dei detenuti. Si tratta di un momento ludico, che rimane a lungo nella loro memoria. L’evento, come ogni anno, coincide con la Campagna europea di sensibilizzazione “Non un mio crimine, ma una mia condanna” attivato nel mese di giugno. Quest’anno, l’iniziativa è coincisa con il decennale della “Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti”, firmata il 21 marzo 2014, a Roma, per la prima volta in Europa (rinnovata nel 2016, nel 2018 e nel 2021). Gli autori della “Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti”, a tutela dei diritti dei 100mila bambini e adolescenti, che ogni anno entrano nelle carceri italiane, sono stati il Ministero della Giustizia, l’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza e l’Associazione “Bambini senza sbarre”. La Carta ha l’ambizione di evitare la presenza di bambini in carcere. Inoltre, affinché questi piccoli abbiano una vita normale, attraverso il libero accesso alle aree all’aperto, agli asili nido e alle scuole, la suddetta carta mira ad attivare queste strutture, con l’ausilio di persone specializzate e aggiornate, nonché’ ad avviare misure a supporto della genitorialità, che in carcere vive condizioni di estrema fragilità. «La Carta nasce da un lungo percorso iniziato dieci anni fa e rappresenta lo strumento che può cambiare la vita dei ragazzi che “Bambini senza sbarre” segue da vent’anni – aggiunge Lia Sarcedote – e questi sono ragazzi con uno stigma sociale, a causa di uno o entrambi i genitori in carcere. La Carta libera questi bambini dall’esclusione e dal facile buonismo, che toglie dignità alle scelte proposte dalla vita, con la consapevolezza e la forza di rappresentare una promessa per se stessi e per tutta la società. La Carta italiana è diventata modello per la prima Raccomandazione dei 47 Paesi del Consiglio d’Europa nell’aprile del 2018, anticipando un percorso che gli altri Paesi europei, e non solo, stanno ora affrontando».

di Marilena Pastore

(cfr. Presenza Cristiana 4/2024)

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