23 Set POPOLAZIONE MONDIALE: DOV’È IL VERO ECCESSO?
18 novembre 2022, da qualche parte nel mondo, c’è stata una nuova nascita, che ha portato la popolazione mondiale oltre la soglia degli otto miliardi. Nel mondo, la popolazione ha cominciato a crescere, in maniera significativa, nel 1800 a partire dall’ Europa.
Storia della crescita demografica
Oltre ad un’alta natalità (una media di 4 figli per donna feconda), varie altre ragioni contribuirono al fenomeno, quali: una migliore alimentazione, le città più pulite grazie alla costruzione di sistemi fognari più moderni, l’avanzare di scoperte mediche e farmaceutiche che limitavano la mortalità infantile e adulta. Si calcola che, fra il 1800 e il 1850, la popolazione europea sia passata da 187 a 266 milioni di abitanti, un aumento del 42% che fece parlare di “rivoluzione demografica”. Intanto, nel novecento la popolazione stava cominciando a crescere anche nei così detti Paesi del Terzo Mondo. Pratiche come la bollitura dell’acqua, le vaccinazioni e le disinfestazioni con il ddt nelle regioni malariche, riducevano la mortalità, mentre la natalità rimaneva a livelli sostenuti. Basti dire che, nel 1950, in Rwanda, Kenya, Filippine, la media di figli per donne fertili era superiore a 7, mentre in Cina e India era attorno a 6. Fatto sta che, fra il 1950 e il 1987, la popolazione mondiale raddoppiò, passando da 2,5 a 5 miliardi di individui. Un raddoppio in 37 anni non si era mai visto nella storia dell’umanità!
Inizio della denatalità
La popolazione ha continuato a crescere anche dopo il 1987, ma non allo stesso ritmo, perché il tasso di natalità si è ridotto quasi ovunque. Oggi, il tasso medio di fertilità, a livello mondiale, è di 2,4 figli per donna fertile, appena sopra il famigerato tasso di 2,1, detto anche tasso di conservazione, in quanto considerato il livello minimo utile ad impedire alla popolazione di contrarsi. Ma, moltissime nazioni sono, ormai, sotto questa soglia. In Italia, ad esempio, siamo a 1,24, in Spagna a 1,23, in Corea del Sud addirittura a 0,85. Le Nazioni Unite prevedono che la popolazione di 61 nazioni si ridurrà dell’1% fra il 2022 e il 2050.
Gli unici Paesi in controtendenza sono quelli più poveri, soprattutto dell’Africa, che mediamente ha un tasso di fertilità di 4,3, lo stesso riscontrato in Europa nel 1800. Secondo i dati della Banca Mondiale, relativi al 2020, il primato spetta al Niger con 6,9 nascite per donna fertile. Seguono la Somalia con 6,4, la Repubblica Democratica del Congo con 6,2, il Mali con 6, l’Angola con 5,4, la Nigeria con 5,3. In conclusione, l’Africa subsahariana è l’area del mondo con il più alto tasso di crescita demografica, tanto da aspettarsi, entro il 2040, un raddoppio da 1,1 a 2,1 miliardi di persone.
Abitanti per Km2
I numeri non sempre sono veritieri e niente lo dimostra meglio dell’argomento popolazione. Ad esempio, stando alle rilevazioni più dirette, la nazione più popolata risulta la Cina, che ospita 1 miliardo e 450 milioni di persone. Ma, se mettiamo la popolazione a confronto col territorio disponibile, scopriamo che lo Stato a più alta densità, ossia con più alta concentrazione di popolazione, è il Principato di Monaco, con 18mila persone per chilometro quadrato. La Cina arriva 84°, con 151 persone per chilometro quadrato. Un numero che la colloca dopo Malta (8°), Olanda (27°), Gran Bretagna (52°). La nostra stessa Italia si trova al 75° posto. In conclusione, la popolazione la si può guardare sotto varie angolature, con graduatorie che cambiano di continuo.
L’impatto sulla natura
Un aspetto che, col passare dei decenni, si è fatto sempre più acuto, riguarda l’impatto sulla natura. Salvo casi straordinari, come quello dell’isola di Pasqua che, attorno al 1400 d.C., andò incontro a deforestazione, per l’eccessivo abbattimento delle palme utili alla messa in posa delle statue, note come moai, l’umanità ha sempre vissuto in equilibrio con il pianeta. In altre parole, il prelievo di risorse e la produzione di rifiuti avveniva in maniera tale, da rispettare la capacità della natura di rigenerare le risorse rinnovabili ed assorbire le sostanze di scarto. Un equilibrio che, però, ha cominciato a rompersi nel corso del secolo scorso, come conseguenza di un sistema economico. Tale sistema, in maniera ossessiva, ha avuto, come unico obiettivo, la crescita di produzione e di consumo, noncurante dei limiti del pianeta. Un’ossessione che ci ha portato a tutti i disastri ambientali di oggi, a cominciare dall’esaurimento delle risorse, sia di tipo rinnovabile che non rinnovabile, per poi passare all’eccesso dei rifiuti, primo fra tutti l’anidride carbonica, il cui accumulo in atmosfera sta provocando i cambiamenti climatici.
Lentamente, ci rendiamo conto che i cambiamenti climatici sono un problema serio, ma quello che ancora ignoriamo è che le conseguenze non saranno uguali per tutti. Qualche assaggio, è vero, lo abbiamo anche in Europa con perdita dei ghiacciai, con lunghi periodi di siccità o straripamento di fiumi; ma i veri drammi stanno avvenendo e, sempre di più, avverranno altrove.
Le aree più esposte ai danni derivanti dai cambiamenti climatici
Geografi e climatologi ci avvertono che le aree più esposte ai danni, derivanti dai cambiamenti climatici, saranno quelle del Sud del mondo, con effetti diversificati: in alcune regioni il problema maggiore sarà l’aridità, in altre l’eccesso di acqua. Fra le aree, destinate ai danni da aridità, ci sono l’Africa mediterranea e sub-sahariana, dove già si registra una riduzione di piogge, con inevitabili conseguenze sull’agricoltura e, quindi, sulla sicurezza alimentare. Mentre metà della popolazione africana già vive in condizione di insicurezza alimentare, si teme che i cambiamenti climatici ridurranno le rese agricole del 30% entro il 2050. E, tuttavia, l’aumento di popolazione farà crescere la richiesta di cibo, nel continente, del 50%.
Ciò che stiamo imparando dai cambiamenti climatici, se mai ce ne fosse bisogno, è che i processi naturali trascendono i confini politici creati dagli umani. Effetto serra, venti, correnti marine, sono fenomeni di tipo planetario, che possono avere la propria origine in un punto del globo e provocare i propri effetti in un altro.
I ricchi inquinano e i poveri ne pagano
Dal 1850 al 2011, l’umanità ha prodotto qualcosa come 1500 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, attribuibili per il 27% agli Stati Uniti, mentre l’Unione Europea se ne intesta un altro 24%. In termini di popolazione, gli Usa rappresentano solo il 4,2% della popolazione mondiale, mentre l’Unione Europea il 5,6%. Da un punto di vista storico, la Cina ha contribuito solo per il 13% delle emissioni globali, mentre la sua popolazione rappresenta il 18% della popolazione complessiva. Quanto all’Africa, la sua partecipazione alle emissioni di CO2 è stata appena del 2%, ma la sua popolazione rappresenta oltre il 16% della popolazione mondiale: dimostrazione pratica di come i ricchi abbiano inquinato e i poveri ne paghino le conseguenze.
Oggi, il maggiore stato che emette anidride carbonica, in termini assoluti, è la Cina, che si intesta il 27% delle emissioni annuali globali. Per correttezza, dovremmo precisare che buona parte delle emissioni cinesi andrebbero ascritte a consumatori di altre nazioni, perché, nella nuova geografia internazionale del lavoro, la Cina è stata ormai eletta a fabbrica mondiale. Ma, pur sorvolando su questo aspetto, se distribuiamo le tonnellate di anidride carbonica emesse dalla Cina per il numero dei suoi abitanti, otteniamo un’emissione pro capite annuale di 7,3 tonnellate. Gli Statunitensi, invece, ne producono mediamente 14,5 tonnellate a testa, mentre gli Europei 6. Si calcola che, per rimanere in equilibrio col pianeta, nessuno dovrebbe emettere più di 2,2 tonnellate di anidride carbonica pro capite all’anno, per cui la Cina è come se avesse una popolazione 3,3 volte superiore a quella che, di fatto, ospita. La popolazione degli Stati Uniti, invece, è come se fosse 6,5 volte più alta, mentre quella dell’Unione Europea 2,7 volte più elevata. In altre parole, prendendo come riferimento le emissioni ammissibili, è come se la Cina ospitasse 4,7 miliardi di individui invece di 1,4, gli Stati Uniti 2,1 miliardi invece di 332 milioni e l’Unione Europea 1,2 miliardi invece di 447 milioni.
Conclusione
Contando le teste, oggi la Cina risulta avere una popolazione quattro volte più alta degli Stati Uniti. Contando le emissioni pro capite di anidride carbonica è come se ne avesse solo il doppio. Quanto all’Africa, che emette anidride carbonica corrispondente a una sola tonnellata a testa, è come se avesse 650 milioni di abitanti invece di 1,4 miliardi. E allora dov’è il vero eccesso di popolazione?
di Francesco Gesualdi
(cfr. Presenza Cristiana 4/2024)
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