Traccia di omelia della 27a Domenica del tempo ordinario – 06 ottobre 2024

Traccia di omelia della 27a Domenica del tempo ordinario – 06 ottobre 2024

LA FAMIGLIA CRISTIANA

(Gn 2,18-24; Eb 2,9-11; Mc 10,2-16)

 

Il piano di Dio si attua nella storia attraverso l’uomo, nelle mo­dalità che questi riesce ad imprimergli.

La prima idea di Dio nel creare l’essere ragionevole è stata la coppia. Egli chiama all’esistenza gli individui, ma per portarli ad una convivenza degli uni con gli altri. Anche per questo li ha creati ma­schio e femmina, uomo e donna. Dalla loro complementarità biofisi­ca si giunge a un’integrazione spirituale, affettiva, operativa. L’uomo è nato per la donna e la donna per l’uomo affinché insieme realizzino la loro perfezione.

La «solitudine» non risponde al progetto divino, anzi contrasta profondamente con i suoi più elementari postulati. È quanto Gesù ripete ai farisei che sono venuti a provocarlo con questioni di vita ma­trimoniale.

Gesù abolisce i privilegi ovvero le eccezioni apportate da Mosè alla legge del matrimonio e lo riporta alla sua purezza originaria, quella che maggiormente risponde alle intenzioni del creatore.

La legge matrimoniale cristiana è talmente severa ed esigente, che gli apostoli ritengono inopportuno sposarsi (cfr. Mt 19,10).

Legato al matrimonio c’è anche la procreazione, for­se per tal motivo l’evangelista ricorda l’incontro di Gesù con i piccoli (vv. 13-16) e l’autore della Lettera agli Ebrei presenta il salvatore fi­glio umiliato ed esaltato per la salvezza dei fratelli.

Prima lettura «Non è bene» (Gn 2,18)

Lo Jahvista, autore del secondo capitolo della Genesi, offre una visione ideale della famiglia umana. Contro le opinioni che circo­lavano nel suo tempo e nel suo ambiente, egli è convinto dell’egua­le dignità e missione dell’uomo e della donna nel piano di Dio. Il creatore infatti fa precedere la creazione della donna da una ri­flessione (v. 18) che non è stata ritenuta ne­cessaria prima della for­mazione dell’uomo (v. 7), segno della considera­zione in cui è tenuta.

L’eguaglianza tra i due esseri che non tutti, non solo allora, condividevano, è segnalata e in qualche modo dimostrata, attra­verso l’immagine della co­stola. Più che le modalità della provenienza femminile (in realtà la donna è stata creata nello stesso tempo del­l’uomo: Gen 1,26-27) l’autore vuol met­tere in evidenza la parità e insieme la complementarità dei due esseri.

La donna è della stessa essenza dell’uomo e, insieme, sua par­te. L’esclama­zione di Adamo (in ebraico è eguale a uomo) «Que­sta volta è ossa delle mie ossa e carne della mia carne» conferma questa connaturalità e interdipen­denza dell’uno con l’altro.

Tutto quello che Dio aveva creato era molto buono (Gn 1,31), ma la solitu­dine di Adamo contrastava con questa affermazione. «Non è bene che egli sia solo», aveva detto il Signore. La donna viene a coprire questa lacuna, perché non solo consente all’uomo di sopravvivere ma soprattutto gli ac­corda equilibrio, serenità, pace. Senza la donna l’uomo è destinato a smar­rirsi poiché non vede la continuità e la ragione della propria esistenza.

Il vincolo di amore che lega l’uomo e la donna è più forte di quello che li teneva legati al precedente nucleo familiare, per que­sto si staccano da esso per comporre un nuovo contesto esistenziale.

Seconda lettura «Fratelli» (Eb 2,11)

L’inserimento di Eb 2,9-11 nella liturgia odierna è forse moti­vato dal ri­chiamo alla realtà filiale di Cristo che nonostante tutto ha condiviso piena­mente e perfettamente i limiti del comune uomo.

Egli è superiore ai mediatori della vecchia economia, agli stessi angeli, per­ché non a questi, ma all’uomo è stata accordata la sovra­nità sul mondo (cfr. Gn 1,27-28). Se Gesù con la sua passione e morte è disceso al di sotto della sfera angelica, salendo, poi, con la sua risurrezione al vertice della gloria e quindi di qualsiasi gerarchia di spiriti.

L’autore scrive a un gruppo di sacerdoti giudaici passati al vangelo e forse delusi dalla povertà dei riti e della teologia che hanno qui trovato. Egli cerca di venire incontro alle loro preoccupazioni che sono, forse, di irrilevante importanza per il credente di oggi.

La passione non mostra la superiorità di Cristo sugli angeli, ma questa è giustificata dalla sua missione salvifica, che ha richie­sto una sua piena as­similazione agli uomini, eccetto nel peccato (4,15), a cui è diretta.

La realtà umana di Cristo in tutta la sua debolezza e fragilità creaturale è il tratto singolare di questo breve ma significativo te­sto della Lettera. Non è stata una scelta arbitraria di Gesù quella di assumere una natura umana co­mune, passibile ma subordinata alle incombenze che aveva da svolgere. Egli non poteva essere di un’altra appartenenza, o di una famiglia diversa da quella degli uo­mini che doveva redimere. Per questo è, in tutto come altri, figlio di donna e della legge, direbbe Paolo (Gal 4,4). Con tutti i limiti e le «imperfezioni» degli altri uomini. La sua sofferenza è reale come reale è la sua umanità.

La missione di Gesù si è attuata nella sofferenza e attraverso essa è giunta al suo massimo perfezionamento. Il patire è il segno concreto, convincente del suo avvicinamento all’uomo, per que­sto può offrirgli da vicino la sua comprensione e il suo aiuto.

Gesù è a pieno titolo un componente della famiglia umana per questo gli uomini sono a pieno diritto suoi «fratelli».

Vangelo «Ciò che Dio ha congiunto» (Mc 10,9)

(Per l’approfondimento cfr. https://dehonianiandria.it/lectio/)

Il matrimonio è il problema che ha tenuto occupata la chiesa delle origini come dei secoli successivi. Gesù ha rinnovato la pras­si giudaica e degli altri popoli riportando la scelta matrimoniale alle sue condizioni originarie e agli intenti segnalati dall’autore della Genesi (2,18-24).

I farisei che pongono la domanda provocatoria pensano che Gesù si schieri per uno degli indirizzi correnti (Shammai, rigori­sta; Hillel, lassista) o contro entrambi. In qualsiasi modo avesse risposto si sarebbe messo in urto con l’una o con l’altra parte degli uditori. Ma la saggezza di Cristo non finisce mai di stupire. An­ch’egli sta con la tradizione ma non degli «antichi», bensì con quella che parte dal libro sacro.

Mosè non è il migliore interprete della legge di Dio; egli si è fatto condizio­nare dai suoi limiti e più ancora dalle cattive di­sposizioni dei suoi sudditi; si è adattato alla loro mentalità (il cuo­re per l’ebreo è la sede dei pensieri) più che rimanere fermo alla legge di Dio.

Il messaggio originario è stato tradito lungo i secoli; bisogna riportarlo al suo tenore primitivo se si vuole agire in conformità alla legge e al volere di Dio.

Il matrimonio è una scelta di persone non una compravendi­ta, per questo va realizzato con amore e per amore, quindi con una donazione e accettazione di per sé, almeno intenzionalmente, totale. Le riserve, se sono contemplate nella scelta stessa, indica­no in partenza una carenza di stima, di donazione, quindi di amo­re. Le incomprensioni e incompatibilità possono sopraggiun­gere ma non possono essere programmate.

Gesù rifiuta la concezione matrimoniale esistente nel suo mon­do perché ir­riguardosa e lesiva verso la parte più debole: la donna. Gesù, infatti, aveva insegnato ad amare la donna, alla pari di tutti i compo­nenti della famiglia umana, di qualsiasi estrazione, razza e a qualsiasi condizione sociale appar­tenesse.

L’amore cristiano non si può conciliare con la legge del di­vorzio sancita dal Deuteronomio (24,1). Questa va abrogata per ridare valore alla legge di Dio e non recare danno allo stato dei coniugi: all’unità (unica «carne») che essi realizzano.

Nel codice cristiano l’adulterio non è solo una possibili­tà della donna, ma riguarda allo stesso modo anche l’uomo (vv. 11-12). L’unione matrimoniale è una legge di Dio, la sua con­tinuità non è rilasciata alla libertà, meno an­cora all’arbitrio del­l’uomo. È davanti a Dio, davanti alla propria coscienza che la coppia in difficoltà deve interrogarsi per risolvere i problemi della pro­pria convivenza, non al codice mosaico o a una qualsiasi legisla­zione umana.

Il divorzio che Gesù condanna è quello mosaico e qualsiasi altro basato sulle stesse «futili» motivazioni, ma con tutto ciò non è detto che egli si sia proposto di risolvere una volta per sempre tutte le controversie emergenti all’interno della vita coniugale. Paolo pur contrario al divorzio, risolverà rapidamente i conflitti sorti al­l’interno di una famiglia cristiana, sciogliendo i vincoli della reci­proca appartenenza e dipendenza (1Cor 7,12-16).

CONCLUSIONE

L’umanità di Gesù è rivendicata dall’autore della Lette­ra agli Ebrei, ma tra­spare anche da qualche nota dell’evangelista Marco.

Quando gli apostoli con maniere forse rudi tentano di allon­tanare le madri che cercano di avvicinare i bambini a Gesù, questi reagisce severamente nei loro confronti. Lo scatto di sdegno che l’evangelista registra scopre un tratto dell’umanità di Gesù che gli autori posteriori hanno avuto paura di traman­dare (cfr. Mt 19,14; Lc 18,16). Anche l’abbraccio che Gesù dà ai fanciulli rivela un tratto andato perduto.

Il piccolo è un prototipo del regno, perché è l’immagine del credente ideale. Bisogna far proprio il suo stato d’animo, il suo fiduciale abbandono per avere accesso al regno dei cieli.

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