LA TRANSIZIONE ENERGETICA PER I PIÙ POVERI

LA TRANSIZIONE ENERGETICA PER I PIÙ POVERI

Da quando abbiamo cominciato a sentire gli effetti dei cambiamenti climatici, la parola d’ordine è diventata transizione energetica che significa passare da pratiche produttive e di consumo che emettono anidride car­bonica ad altre che non ne producono. Ma la transizione energetica non ha ovunque lo stesso volto. Per noi abitanti del mondo opulento significa cambiare modo di produrre energia elettrica, passando dalle centrali termiche alle stazioni eoliche e solari. Oppure cambiare mezzi di locomozione, passando da auto alimentate a motore ad altre azionate da batterie. Ma ad altre latitudini la transizione energetica significa più banalmente abbandono della candela e superamento dei fuochi a fiamma libera per cucinare.

Un po’ di dati

Secondo l’Unctad, 800 milioni di persone, all’incirca una su dieci, non dispongono ancora di corrente elettri­ca. Le zone più colpite sono quelle rurali: l’82% degli individui senza corrente elettrica abita nelle campa­gne. E poiché il tasso di ruralità è particolarmente elevato nell’Africa sub sahariana, il 75% delle popolazioni senza corrente elettrica si trova in questa parte di mondo.

L’energia elettrica condiziona tantissimi aspetti della nostra vita a cominciare da quelli sanitari. La dissente­ria, seconda causa di morte infantile, uccide ogni anno mezzo milione di bambini. Una morte assurda che so­praggiunge per disidratazione e perdita di sali. E se i rimedi principali per prevenire questo flagello sono l’acqua potabile e la disponibilità di latrine, un ruolo importante lo giocano anche i frigoriferi che permettono di conservare il cibo senza rischio di proliferazione batterica. Una delle ragioni per cui i medici raccomanda­no alle mamme del Sud del mondo di non lasciarsi tentare dall’allattamento artificiale è il rischio di infezioni intestinali dovute anche al fatto che ai bambini viene somministrato latte avanzato tenuto fuori di frigo. Non a caso fra i 17 obiettivi di sviluppo umano che le Nazioni Unite si sono prefisse per il 2030, è compresa an­che l’energia per tutti. Pulita e a buon mercato.

Energia per la casa, ma non solo

La gente chiede energia elettrica anche per lavorare meglio e con meno fatica, per garantire scuole più digni­tose ai propri figli, per disporre di centri di cura più attrezzati. Perfino per illuminare le strade. Gli uomini con l’obiettivo di tenere aperta la propria attività qualche ora di più, le donne per poter andare alla latrina senza correre il rischio di essere aggredite. Ma per garantire l’energia elettrica a tutti entro il 2030, i paesi meno sviluppati devono aumentare il loro tasso di elettrificazione del 350%. Attraverso una strategia multi­pla. Considerato che la popolazione sprovvista di energia elettrica vive per l’82% nelle campagne, accanto al rafforzamento delle reti nazionali, bisognerà aiutare le famiglie a dotarsi di strumentazioni autonome come pannelli solari e batterie di accumulo. Investimenti che richiederanno una spesa valutata attorno ai 3-4 mi­liardi di dollari per ogni anno che ci separano dal 2030.

L’energia termica in ambito domestico

In ambito domestico oltre all’energia elettrica serve anche energia termica. Per noi che abbiamo inverni freddi il pensiero va soprattutto al riscaldamento. Ma ci serve calore tutto l’anno per cucinare. Per noi cuci­nare è facile: giriamo una manopola e come per incanto otteniamo una fiamma azzurrognola che ci permette di cuocere tutte le nostre vivande. Oppure schiacciamo un interruttore del forno ed otteniamo resistenze in­candescenti capaci di cuocere ogni sorta di dolce e pasticcio. Non altrettanto per 2,3 miliardi di persone, qua­si un terzo della popolazione mondiale sparsa in 128 paesi, che per cucinare usa ancora la fiamma generata da carbone, sterco animale, legna, o altri avanzi di lavorazione agricola. Combustibile spesso gettato in un focolare aperto che satura di fumo l’unica stanza dell’abitazione adibita a cucina di giorno e camera da letto per l’intera famiglia di notte. Si stima che i metodi di cottura insani procurino ogni anno 3,7 milioni di morti premature a livello mondiale soprattutto a carico di donne e bambini. In Africa, le donne e i bambini rappre­sentano il 60% di tutte le morti premature dovute all’inalazione di fumo e altre forme di inquinamento dell’aria in ambito domestico. Morti che sopraggiungono per problematiche respiratorie e cardiovascolari.

Le donne pagano le conseguenze di metodi di cottura inappropriati

Oltre che sul piano sanitario, le donne pagano le conseguenze di metodi di cottura inappropriati anche sul piano sociale. Le famiglie sprovviste di metodi di cottura puliti devono dedicare fino a cinque ore al giorno alla ricerca di legna, alla raccolta di sterco animale o al trasporto di carbone acquistato presso i rivenditori di zona. E ancora una volta sono le donne e i bambini a farsene carico, anche a rischio di violenze e aggressioni quando devono spingere la ricerca di combustibile fuori dai circuiti abituali. Ma se le aggressioni sono un ri­schio, l’esclusione dalla scuola e da forme di lavoro retribuite sono una certezza per persone che devono de­dicare una fetta importante della propria giornata alle esigenze domestiche. Senza contare l’impatto ambien­tale. L’uso di legna e carbone per cucinare, ogni anno comporta la deforestazione di un’area grande come l’Irlanda, con gli effetti peggiori in Africa orientale e meridionale, dove le foreste si stanno riducendo anche per altre ragioni. Con conseguenze anche per la produzione alimentare, dal momento che ad essere abbattuti sono anche gli alberi da frutto.

L’accesso universale alla cucina pulita è una questione politica

Dal 2010 al 2022, il numero di individui che usa metodi di cottura inappropriati è sceso da 3 a 2,3 miliardi. Ma il progresso è avvenuto soprattutto in Asia e America Latina. In Cina, India e Indonesia, ad esempio, il numero degli esclusi dalla cucina pulita si è dimezzato, mentre continua a crescere nell’Africa Sub Saharia­na, anche per effetto dell’aumento della popolazione. In questa parte del continente africano un miliardo di persone, all’incirca quattro persone su cinque, usa combustibili altamente inquinanti sia in focolari aperti che in stufe chiuse.

L’indagine sugli esclusi dalla cucina pulita

L’IEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia, che ha condotto l’indagine sugli esclusi dalla cucina pulita, sostiene che l’accesso universale alla cucina pulita non è una questione di tecnologia, ma di politiche. Le so­luzioni sono note, ma manca la volontà di attuarle e non si fanno abbastanza sforzi per trovare i necessari fi­nanziamenti. Allo stato attuale in Africa, meno di un terzo dei piani di miglioramento dei metodi di cucina sono finanziati, mentre il Covid e l’aumento dei prezzi dei carburanti a livello internazionale hanno ridotto i contributi a sostegno delle famiglie. Considerato che tre quarti degli esclusi dalla cucina pulita, vivono nelle campagne, l’IEA ritiene che la soluzione più percorribile sia la diffusione del GPL, ossia il gas in bombole. Nell’ultimo decennio, il 70% di coloro che hanno migliorato i propri sistemi di cucina, lo hanno fatto tramite GPL. Da un punto di vista ambientale le piastre elettriche alimentate con pannelli solari sarebbero la soluzio­ne ottimale, ma gli investimenti richiesti per singola abitazione sarebbero piuttosto elevati. E nelle zone re­mote, dove anche il rifornimento di bombole è difficoltoso, la soluzione transitoria, è rappresentata dalle così dette cucine innovative, stufe a legna con una buona efficienza termica e contenimento dei fumi. Le cucine innovative possono ridurre il fabbisogno di combustibile fino al 75% e ridurre drasticamente i fumi pericolo­si, con vantaggi notevoli sia da un punto di vista sociale che sanitario.

Garantire a tutti l’accesso alla cucina pulita

Secondo l’IEA per garantire a tutti l’accesso alla cucina pulita entro il 2030, servirebbero quattro miliardi di dollari all’anno, appena lo 0,16 % della spesa militare mondiale e una percentuale irrisoria di quanto i gover­ni dei paesi ricchi hanno elargito nel 2022 ai propri cittadini per proteggerli contro gli aumenti di prezzo dell’energia.  Dunque si tratta di una cifra assolutamente sostenibile che potrebbe dare una svolta significati­va alle condizioni sanitarie e di vita di miliardi di persone, soprattutto donne e bambini. Ma che potrebbe an­che dare un contributo importante alla lotta contro i cambiamenti climatici. L’IEA calcola che il migliora­mento a livello mondiale delle modalità di cucina, da qui al 2030 potrebbe ridurre le emissioni di anidride carbonica di 1,5 miliardi di tonnellate, la stessa quantità emessa l’anno scorso dai viaggi aerei e navali. Tal­volta la soluzione dei problemi è meno difficile di quanto sembri. Sono le nostre gabbie mentali a ad impe­dirci di metterle in pratica.

di Francesco Gesualdi

(cfr Presenza Cristiana 5/2024)

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