Proposta di omelia per la 3a domenica di Avvento – 15 dicembre 2024

Proposta di omelia per la 3a domenica di Avvento – 15 dicembre 2024

IL VANGELO CHE SALVA

(Sol 3,14-18; Fil 4,4-7; Lc 3,10-18)

Il tema della «buona novella» (Lc 3,18) sembra ricollegare le tre «Letture» della presente domenica. Jahvé fa annunziare la sua venuta in mezzo al popolo e invita a esultare per tale avvenimento. L’apostolo Paolo esorta i fedeli di Filippi a rallegrarsi perché «il Signore sta per ve­nire, è vicino» (v. 5). Ma è il Battista a segnalare in concreto come gli uomini possono attendere con serenità e gioia la venuta del Signore e prepararsi all’incontro con lui.

 

Prima lettura «Gioisci, figlia di Sion» (Sof 3,14)

Il discorso profetico alterna annunzi di sciagure e messaggi di con­solazione. La comunità israelitica ha subito un severo giudizio di con­danna; ora è chiamata ad ascoltare il più inatteso messaggio di consola­zione. Non più o non tanto un di­scendente davidico verrà a ristabilire le sue sorti, ma Jahvè in persona. La casa di David era stata travolta dal flagello che si era abbattuto sul popolo eletto; or­mai c’era poco da at­tendere dai suoi rampolli e per questo Jahvè fa sapere che prenderà egli in persona la realizzazione del suo progetto e lo porterà a compi­mento.

Egli, il creatore dell’universo e il liberatore del suo popolo dalla schiavitù egi­ziana e babilonese, si annuncia anche come il diretto pro­tagonista della storia della salvezza (cfr. i Salmi del regno: 93-99; e alcuni profeti postesilici: Gioele e Zaccaria).

Al posto del messia si stabilirà Dio stesso in Sion, come annun­ziava a sua volta la Sapienza (Sir 24,15), e prenderà in mano le redini degli avvenimenti salvifici. Vi è in tali oracoli come un preannuncio dell’incarnazione. Tutto il giubilo, l’esultanza, il clima di festa che il profeta segnala avrebbero la sua giusta moti­vazione.

La «figlia di Sion» che riceve la buona notizia è la città di Ge­rusalemme, ma soprattutto la comunità ideale dei tempi della salvez­za, quindi il popolo credente che si raccoglie intorno a Dio e al suo Cristo. Ognuno cerca di ritrovarsi in tale designazione, perché sco­pre il suo posto di diretto interlocutore di Dio.

 

Seconda lettura «Rallegratevi» (Fil 4,4)

Il cristiano è l’uomo della gioia. Non è che le sofferenze e le con­traddizioni non attraversino la sua esistenza e non riempiano la sua giornata, ma egli sa dare un senso a tutto. Anche i fedeli sanno che i loro patimenti sono motivati dalla scelta religiosa che hanno compiuto (1,29-30). Paolo sostiene lotte e persecuzioni, ma non perde il suo ot­timismo, perché sa a chi ha creduto (2Tm 1,12) e cosa l’attende (Fil 3,20). La sua gioia non può esser turbata da nulla e da nessuno. I suoi «fra­telli» nella fede debbono far propria la sua imperturbabilità.

La gioia cristiana nasce dalla fede, dal convinto riferimento a Dio («nel Si­gnore») e nell’affabile rapporto con «gli uomini», e si alimenta con la carità, sia verso Dio che verso il prossimo. L’aposto­lo aggiunge anche un motivo occasio­nale: la venuta di Gesù. La sua attesa riempie di conforto e di speranza le prime generazioni cristia­ne. Gesù stesso, accettando la sua morte o facendo atto di ac­cettarla (cfr. Mt 26,64), aveva promesso una prossima («presto vedrete») ve­nuta del figlio dell’uomo sulle nubi del cielo. Di fatto era stata intesa più come un «ritorno» nella storia che come una «rivincita» sulla sconfitta subita. La Lettera ai Filippesi è ancora su questa linea.

In tutti i modi la venuta o la visita del Signore è il riferimento salutare che la comunità può sempre avere davanti agli occhi per im­primere ai suoi componenti un comportamento coerente con la pro­pria fede.

 

Vangelo «Annunziava la buona novella» (Lc 3,18)

(Per l’approfondimento cfr. https://dehonianiandria.it/lectio/)

Dio segnala la sua venuta nella storia (Sof); Paolo ribadisce che «il Signore è vicino», ma è Giovanni Battista che ricorda il modo conveniente con cui prepa­rarsi a riceverlo.

Il brano di Lc 3,10-18 raccoglie alcuni saggi della predicazione giovannea. Non si tratta anche qui di sapere cosa occorre credere, ma cosa occorre compiere per evitare di incorrere nel giudizio di Dio che sembra attuarsi sulla comunità (3,9) prima che si apra l’era della salvezza (3,6). La risposta rivela un radicalismo che anticipa quello cristiano o è stato da esso influenzato.

L’evangelista dei poveri non si arresta alle apparenze, ai buoni propositi, ma re­clama operazioni di bene. La condivisione è sparti­zione dei propri mezzi di sus­sistenza con chi ne è sprovvisto. Se chi ha due tuniche deve darne a chi non ne ha, vuol dire che ne spetta una a ciascuno. Il discorso è talmente insolito che sembra utopistico.

C’è un vangelo anche per i gabellieri o esattori di imposte, ladri legalizzati, e per i militari, strumenti del potere e del sopruso. Que­sta volta Luca non trova per essi la parola giusta. Nella comunità dei credenti in cui tutti si riscoprono eguali, amici e fratelli, non ci dove­va esser posto per nessuno di essi, ma è un salto che l’evangelista non ha fatto e che la comunità cristiana deve ancora compiere e solo da poco ne va avvertendo l’urgenza.

Se Maria nel Magnificat annuncia che il Signore ha deposto i potenti dal loro trono (Lc 1,52), i soldati che ne sono i manutengoli erano automaticamente in­vitati ad abbandonare la loro professione.

La predicazione giovannea è moralistica, ma anche teologica. La disputa sull’identità di Giovanni riflette le difficoltà degli ascoltato­ri del Battista, ma più ancora di alcuni settori della chiesa nascente che non avevano dimenticato la figura del precursore (cfr. At 19,3; Mt 9,14).

La superiorità del Cristo è segnalata dalla diversità del battesi­mo che a lui risale. L’acqua è simbolo di purificazione, ma non egua­glia l’azione del fuoco, imma­gine, nel racconto degli Atti, dell’azione dello Spirito di Dio (2,3).

 

Conclusione

II quadro del Cristo giudice fa parte di un cliché tradizionale (cfr. Mt 3,12), ma non è il più indovinato che la predicazione cristia­na ha elaborato. Non è questa la «buona novella» (v. 18) che Dio tramite i profeti, e ora il precursore, si preoc­cupa di far giungere alle folle; non è ad ogni modo la salvezza (v. 6) che essi attendono. È un’im­magine troppo umana; risponde ai parametri di una conce­zione trop­po conforme alla logica dell’uomo per essere attribuita a Dio. Secon­do il concetto biblico la giustizia è, in Dio, fedeltà alle promesse che non sono legate alla risposta dell’uomo. Dio è giusto non perché ri­paga l’uomo secondo le sue malefatte, ma perché gli userà grazia sem­pre, nonostante le infedeltà e le ingra­titudini con cui risponde alla sua bontà. Dio è giusto perché sa amare, quindi sa perdonare anche quelli che non rispondono alle sue attese, anche quelli che non lo me­ritano. E questa forse la buona novella che gli uomini sempre atten­dono.

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