Proposta di omelia per la seconda domenica del tempo ordinario – 19 gennaio 2025

Proposta di omelia per la seconda domenica del tempo ordinario – 19 gennaio 2025

L’AMORE DI DIO VERSO IL SUO POPOLO

(Is 62,1-5; 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-12)

Il discorso su Dio cammina attraverso le analogie che si riscontrano nel mondo umano. Non ci sono altri modi per parlare di lui che quelli attinti dalla vita e dalla storia dell’uomo.

Il matrimonio è l’immagine prediletta di alcuni profeti per segnala­re il rap­porto di benevolenza che lega Dio al popolo israelitico. Gesù lo sceglierà per designare i suoi rapporti con i singoli credenti (cfr. Mt 25,1-13). Egli ama i suoi fedeli con la tenerezza di uno sposo: non tol­lera che qualcuno se ne di­mentichi e non sia in trepida attesa di una sua eventuale «visita».

Isaia descrive le alterne vicende tra Dio e Israele come un matrimo­nio ora fallito, ora rinnovato, ma alla fine duraturo. Nel banchetto di Cana, Giovanni lascia intravvedere i veri sposi che a lui stanno a cuore: Gesù e la sua chiesa. Paolo integra il tema dell’unità coniugale con quello dell’unità ecclesiale. Le immagini non possono coprire la realtà, ma tut­te stanno a ricordare con quale tenerezza, perseveranza e intimità Dio ama quelli che cercano di stabilire una comunione con lui, e come Gesù sia affezionato ai suoi discepoli.

 

Prima lettura «Ti sposerà il tuo creatore» (Is 62,5)

L’esilio è finito, ma la restaurazione è ancora incerta. Israele è passato da una dominazione (babilonese) a un’altra (persiana), ma le speranze riposte negli oracoli profetici non vengono meno. La «giu­stizia» che è sinonimo di salvezza non tarderà a trionfare davanti a tutti i popoli e ai re della terra. La città santa sarà ricostruita e co­me annunziava già Ezechiele (48,35: jahvè-shammah), prenderà un nome nuovo, segno della trasformazione spirituale che l’attende. La «corona» che cingerà, il «diadema» che porterà in capo ricordano la sua riconquistata libertà, sovranità e la rinnovata amicizia divina. Per l’israelita le calamità, come i favori, vengono da Dio. È lui, per­ciò, che ha «abbandonato» il suo popolo in mano ai nemici e ha la­sciato «devastare» la sua terra, ma ora sta riaccordandole il suo fa­vore, la sua benevolenza, il suo amore. Israele tor­nerà ad essere l’og­getto del suo compiacimento e Jahvè sarà nuovamente il suo «spo­so». Poco avanti Isaia aveva chiamato Gerusalemme «Città del Si­gnore», «Sion del santo d’Israele» (60,14): ora ritorna al linguag­gio dell’alleanza. La nazione era unita a Dio tramite un patto che era stato infranto a motivo delle numerose infedeltà del popolo. Ma il profeta si preoccupa di annunziare che i rapporti stanno per essere ristabiliti e Jahvè sta per tornare l’unico sposo d’Israele. Dio stesso si rallegrerà di questo rinnovato connubio e con lui gioi­ranno i nuovi abitanti di Gerusalemme. La felicità escatologica, ovvero mes­siani­ca, si affaccia ormai chiaramente attraverso questi messaggi di con­sola­zione.

 

Seconda lettura «Unità e diversità dei carismi » (1Cor 13,4-11)

Paolo presenta in 1Cor 12-14 una comunità fortemente plurali­stica. I doni dello Spirito (pneumatikà) vi abbondano. E sono: i servi­zi (diakonìai), i cari­smi (charismata), le attività (energhemeta). Ognu­no di essi a sua volta è sog­getto a suddivisioni, ma quel che conta è che provengono tutti da uno stesso principio (lo Spirito di Dio) e tendono a uno stesso scopo: l’«utilità comune», ossia la costruzione della chiesa. Anche Paolo, come il Deutero Isaia, è un profeta; egli parla alla comunità di Corinto prospettando ai suoi destinatari una realizzazione ideale che li riguarda, ma che supera sempre il momen­to storico in cui essi vivono. La proposta pertanto è una meta a cui guardare, verso cui proiettarsi nel momento contingente in cui ci si può venire a trovare.

 

Vangelo «Il banchetto delle nozze messianiche » (Gv 2,1-12)

(Per l’approfondimento cfr. https://dehonianiandria.it/lectio/)

L’episodio di Cana è una piccola storia matrimoniale in un vil­laggio della Ga­lilea, ma soprattutto è una grande parabola che illu­stra il posto di Gesù nella “storia della salvezza”, nella vita della chiesa e dei singoli uomini. Il matrimo­nio è il contesto in cui avviene il tra­passo dalla vecchia alla nuova economia mediante una trasmutazione così radicale che solo la potenza di Dio avrebbe potuto compiere. I protagonisti sono bene allineati: gli sposi, i commensali tra cui la ma­dre di Gesù da una parte e dall’altra Gesù e i suoi discepoli. Le noz­ze, celebrate secondo il rito giudaico, simboleggiano l’antica allean­za; le idrie di acqua che «sono là», sembra, a ingombrare la libertà dei presenti sono un cor­relativo del ritualismo che Gesù è chiamato ad annullare. Maria funge da le­game tra i due schieramenti ed è lei che provoca una prima chiarificazione da parte del figlio.

Il vino, che è simbolo della sapienza e, insieme all’olio e al gra­no, era uno dei beni promessi per l’era messianica, è venuto a manca­re. Nella rivelazione israelitica non c’era mai stato «vino» a profu­sione, mentre abbondavano i riti, le abluzioni più o meno superflue. Le idrie sono in così gran numero a segna­lare ciò che era sovrabbon­dante e perciò anche così carente nel giudaismo. È la madre di Gesù che sollecita il trapasso dall’economia imperfetta (dell’ac­qua) a quel­la definitiva (del vino, del vino migliore, simbolo dell’insegna­mento cristiano). I servi sono i ministri della nuova alleanza che spesso non conoscono neanche loro tutta la profondità e la novità del messaggio che an­nunziano; tanto meno poteva accorgersene il maestro di tavo­la, espressione dei tanti maestri d’Israele, sempre sordi, ostili alla pre­dicazione di Gesù.

Lo sposo che l’architriclino interpella non è colui che ha orga­nizzato il ban­chetto, ma chi ha dato il vino migliore, Cristo. È verso di lui che è incentrato l’interesse dell’evangelista e la sua figura emerge, alla fine, additata, magari senza rendersene pienamente conto, dal maestro di tavola che sostituisce quella dello sposo. Sul Tabor Mosè ed Elia erano scomparsi per far posto a Cristo (cfr. Mt 17,8); a Cana gli sposi occasionali non compaiono (in realtà non sono nemmeno men­zionati, solo presupposti) per far apparire Cristo l’unico che è in gra­do di offrire ai commensali, al posto dell’acqua, un vino straordinario, simbolo del suo messaggio e soprattutto della sua opera, vera­mente ristoratrice.

Il simbolismo non cancella il miracolo, né le sue ripercussioni apologetiche. Gesù anticipa la sua azione salvifica, sostituisce qual­siasi precedente rito e apre uno spiraglio sulla sua vera condizione che è quella dell’uomo, in cui abita la pienezza della grazia e della verità divina e da cui tutti sono chiamati ad attingere (cfr. Gv 1,4,14; 7,39; 19,30,37). «Egli era la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo» ha affermato l’evangelista (1,9): «la gloria dell’u­nigenito del Padre» che in lui aveva preso dimora in mezzo agli uo­mini (1,14). A Cana questa «luce», questa «gloria», aveva lasciato intravvedere, simbolicamente più che realmente, i suoi primi baglio­ri. Gesù non era un com­mensale, ma quello che celebra le nozze, co­me lo sposo della parabola delle vergini (Mt 25,1-13), e invita tutti ad accostarsi a lui con confidenza e amore sicuri di trovare il ristoro, la pace, la serenità a cui anelano.

Maria non è come i discepoli che assistono quasi inconsapevoli alle operazioni di Gesù, alla sua manifestazione, ma è colei che l’ha provocata con il suo ispi­rato intervento. Ella è «la madre di Gesù», ma anche la madre del messia d’Israele, pronta a prestare la sua coo­perazione per e nella grande opera che lui è chiamato a compiere.

 

Conclusione

Il miracolo di Cana è il primo dei segni che Gesù compie nel quarto vangelo. II matrimonio celebrato nel villaggio annunzia la rea­lizzazione di un connubio ancora più atteso: quello di Dio con l’uma­nità. Vi sarà un rinnovamento nei rapporti tra Dio e gli uomini. Esso è già avviato, in virtù dell’opera di Cristo, da sua madre. Quel che il profeta Isaia aveva intravvisto si andava realiz­zando. La terra, o meglio gli uomini che vi abitano, si apprestano ad avere, o meglio hanno già, un Dio come compagno della loro vita.

L’«alleato» faceva pensare a situazioni di conflittualità e di bat­taglia: lo «sposo», invece, fa pensare a un amico, a un confidente, vicino nei momenti sia dell’avversa che della prospera fortuna. Questo sposo è Dio, Cri­sto, lo Spi­rito.

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