
13 Gen I TAMBURI DI GUERRA RULLANO ANCORA
Da troppo tempo i “tamburi di guerra” stanno rullando sempre più forte ai confini dell’Unione Europea e nel Medio Oriente. Purtroppo, è la politica che prepara e costruisce le guerre e sarà soltanto una decisa reazione contraria della stessa politica a fermarle!
Il conflitto israelo-palestinese evidenzia, drammaticamente, il fallimento degli sforzi per una risoluzione politica, tesa a limitare i danni della violenza e dell’odio, sia da parte di Hamas, che da parte del Governo Israeliano. Similmente, la guerra fra Russia e Ucraina, dopo più di due anni dall’invasione, ha visto l’impotenza dell’Unione Europea nel coinvolgere in un incontro, intorno a un tavolo negoziale, i contendenti. Anzi, anche qui, con le vicende interne della Siria e le ripercussioni internazionali, c’è la minaccia, di un allargamento all’intera area mediorientale, di un conflitto che ha prodotto oltre un milione di morti e di danni immensi alle infrastrutture e all’ambiente. Ma, purtroppo, questi conflitti costituiscono anche il fallimento di un sistema di sviluppo economico, fondato sempre più esclusivamente, sul profitto e sul dominio commerciale e militare di un Paese sull’altro. Questa direttiva politica, consacrata da numerose risoluzioni del Parlamento europeo, punta a un obiettivo palesemente impossibile, che richiede una continua escalation della violenza bellica, attraverso la fornitura di armamenti di ogni tipo, col rischio di arrivare allo scontro diretto fra Russia e la Nato! È proprio questa direttiva politica, fondata sul mito della “vittoria”, che deve essere denunciata, come irresponsabile e criminogena, e, al tempo stesso, contrastata con decisione. La guerra, infatti, incarna la degenerazione di una civiltà e, in definitiva, dell’intelligenza umana.
Il valore della resa è un diamante nascosto in una società come la nostra, improntata esclusivamente sulla vittoria da ricercare a ogni costo e con ogni mezzo. Purtroppo, siamo figli di una cultura della vittoria che perseguono un solo obiettivo: vincere, sempre: non importa come o a quale prezzo… oppure a scapito di chi; l’importante è salire sul carro dei vincitori. In una società, sempre più competitiva, una resa, con la sua gestione, lascia letteralmente disarmati. Ma come si potrà puntare alla vittoria, dopo oltre due anni di guerra, con centinaia di migliaia di morti sulle spalle?… dove il governo di Kiev ha modificato, progressivamente, i parametri per l’arruolamento, abbassando la soglia dell’età minima e allargando le fasce della popolazione da inviare al fronte?
Qual è il prezzo di un uomo? Quanto vale? Quanto vale un uomo ucciso in guerra, in una parte del globo che formicola di tribù, che si scannano in avanzate e ritirate, altrettanto inutili, con uomini che crepano come cani sui bordi della strada, invocando madri che non rivedranno? Già: quanto vale la vita di un soldato ucraino o russo ucciso nell’Est europeo, in questo inizio infame di millennio che sta procedendo come una macchia di sangue mista ad ira?
Nei mesi scorsi, ha fatto scalpore una nota dell’agenzia Adnkronos: “Kiev, grazie agli aiuti economici dei partner internazionali, riesce a mantenere in piedi la res publica, garantendo anche sostegno e risarcimenti alle famiglie che hanno perso un membro in guerra o hanno riabbracciato un proprio caro ferito in battaglia”. È di qualche mese il provvedimento con cui il governo ucraino modifica e alza le cifre per gli indennizzi destinati alle famiglie di feriti e caduti. In caso di morte di un soldato, durante il servizio militare, la famiglia percepisce 2,27 milioni di grivnie, circa 50mila euro. Se il decesso avviene in battaglia, l’indennizzo è di 15 milioni di grivnie, circa 326mila euro. Rivisti anche gli indennizzi in caso di invalidità, che oscillano tra i 16mila e i 25mila euro in relazione al danno riportato. Differentemente dagli Ucraini, le famiglie russe dei militari caduti in servizio, nella cosiddetta “Operazione militare speciale in Ucraina”, riceveranno l’indennità di 5 milioni di rubli, circa 65 mila euro, stabilito in un decreto firmato dal presidente Vladimir Putin.
La guerra non è soltanto uno strumento di offesa o di pace, come di solito la si definisce, ma è soprattutto uno strumento per la trasmissione della paura, come se quest’ultima fosse un virus: diffondere paura è conseguire obbedienza dentro e fuori dai propri confini territoriali. Un copione già descritto dallo scrittore inglese Aldous Huxley (1894-1963) nel suo libro “La scimmia e l’essenza”, dove si legge: “Il potere si regge su tre pilastri: paura, nemico, nazione”.
Una guerra, quindi, non è mai una circostanza accidentale, ma è una pratica precisa, meticolosa, che diventa un’opportunità e un affare per il potere, soprattutto, dal punto di vista economico.
Lo sanno tutti, nessuna azienda al mondo produrrebbe un “qualcosa” (le armi) per poi tenerlo invenduto. È un concetto universale, frutto della logica del mercato. Una produzione viene realizzata in funzione del suo consumo. Quindi, nel nostro mondo, che si ritiene progredito, la guerra non è mai un delitto, ma diventa una necessità che non conosce alcuna discriminazione di colore politico: di destra, di sinistra o di centro; la guerra è solo la causa per ottenere il fine, ovvero la devastazione. E la devastazione creerà grosse opportunità per la macchina del business. Il grave errore consiste nel considerare la legge del profitto come il metro regolatore di ogni cosa. Anziché investire nella sanità, che assicuri l’assistenza e la cura per tutti, nella solidarietà, per rafforzare il senso di comunità, nel sostegno alla lotta contro le povertà, si preferisce spendere in armamenti, per difenderci dai nostri simili.
Sembra che ci si stia svegliando dal tepore di un tempo, dove più importante era il possedere e non il sapere. L’epoca dell’inganno e non della verità, della disumanità e non della benevolenza, sta dominando la scena politica mondiale, caratterizzata dall’ascesa dei nazionalismi in molti Paesi del mondo, sia retti da regimi totalitari, sia governati da “rottami” di democrazie.
Come può la vita continuare dopo eventi così dolorosi? Contro ogni retorica sul diritto alla difesa e alla sicurezza, violando, ancora una volta, la distinzione tra civili e combattenti, così come tra armi di difesa e di offesa (distinzione assai discutibile), stiamo tutti facendo l’esperienza della morte, che si manifesta sul nostro cammino, frutto di violenze insostenibili, dove risultiamo sempre sconfitti. Occorre ️urgentemente, il coraggio di affermare “La forza di amare”, anche nella mezzanotte dell’odio e della vendetta, perché “l’occhio per occhio rende il mondo cieco!”. Infatti, ancor più della corruzione, i conflitti sono capaci di concentrare i benefici in un’esigua minoranza e di ripartire i costi sul resto della società. Ma, i problemi hanno sempre origini relazionali! Purtroppo, nella nostra società, si è distanti anche quando si è vicini: parliamo senza ascoltare; mangiamo senza assaporare, facciamo l’amore senza sentire; camminiamo senza vedere; viviamo in una società, nella quale brancoliamo affannati, annebbiati dalle nostre cieche convinzioni.
“Forse, afferma Michel Foucault, oggi l’obiettivo principale non è scoprire, dai conflitti bellici, chi siamo, ma rifiutare quello che siamo: dobbiamo, piuttosto, immaginare e costruire ciò che potremmo essere.!”
a cura di Elia Ercolino
(cfr. Presenza Cristiana 2/2025)
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