“USCIRE DALLE SACRESTIE: ANDARE AL POPOLO”

“USCIRE DALLE SACRESTIE: ANDARE AL POPOLO”

Il 14 marzo i dehoniani ricordano la nascita del loro fondatore

Certamente è uno slogan abusato in molto ambiti, ecclesiali e non, con ricadute pia­cevolmente im­mediati e al­tisonanti; segno che le sacrestie forse sono ancora piene di dame e ca­valieri con vestiti variopinti, frutto più di una fantasia irrefrenabile che di genialità propositiva, là dove si inor­ridisce quando si parla di problemi esistenziali e sociali, pronti, però, a sfilare in proces­sione con divise scintillanti … già … “divise” – termine derivante da “dividere” – spe­rando che non costituisca un im­pegno a dividere ma a unire.

Leone Dehon, un prete francese (1843-1925), utilizzò questa frase per spronare i preti della sua diocesi a interessarsi della crescente questione operaia causata dalla rivoluzione industriale, piut­to­sto che dedicarsi unicamente ad una pastorale “vecchio stampo”, pur­troppo ancora non tramon­tata, fatta di sacramentalizzazioni e processioni più che di con­divisioni.

La spiritualità del Cuore di Gesù non era, per il p. Dehon, una semplice pratica devo­zionale, ma un vero rinnovamento di tutta la vita: la sostanza stessa del Vangelo.  Infatti, questa sua spiritualità non lo indusse mai a forme deviate di inti­mi­smo, ma si tradusse in apertura straordinaria di mente e di cuore, a servizio spe­cial­mente degli ultimi. Diversamente da altre forme ascetiche, la spiritualità del Cuore di Gesù del p. Dehon si ca­ratterizza soprattutto per il primato che viene riconosciuto all’amore, che si traduce in impegno storico-sociale.

Leone Dehon, figura di spicco del cattolicesimo sociale di fine 800, di cui il 14 marzo ri­corre l’anniversario della sua nascita, rimane impressionato dal dramma sociale dello sfrutta­mento degli ope­rai, dove donne e bambini venivano sottopagati e schiavizzati in un este­nuante lavoro di 16 ore al giorno! Comprende come i preti “debbano uscire dalle sacrestie e anda­re al popolo”, e per questo metterà la sua intelligenza a servizio della riflessione culturale: scriverà il “Catechismo sociale”, ma soprattutto diverrà uno dei più convinti dif­fusori ed esegeti della prima enciclica sociale della Chiesa, la Rerum novarum di Leone XIII (1891).

Padre Leon Dehon, lo ricordiamo, fu una intelligenza molto fine, dottore in diritto e avvocato del foro di Parigi prima di venire ordinato prete in Roma nel 1865, pensatore di prim’ordine e amico personale di tre papi (Leone XIII°, Pio X°, Benedetto XV°), fondatore di una congregazione, mistico singolare, attivo nel ricomporre sul piano sociale la frattura fra la Chiesa e il popolo dei diseredati nella Francia anticlericale e repubblicana, viaggiatore e scrittore instancabile e gran teorico della cosiddetta “de­mocrazia cristiana”, da cui sarebbero nati i partiti popolari di matrice cattolica del Novecento.

È singolare come tutte le dottrine politiche, di qualsiasi estrazione, si siano sempre propo­ste sfide per debellare povertà, fame, ingiustizia, disagio estremo, seminan­do promesse e proclami virtuosi e persino rivoluzionari, per ritrovarsi poi nel tem­po a contare sconfitte e fal­limenti.

Se la politica da anni è insensibile a causa di corporativismi e lobby, allora sono le comu­nità che dalla base alzano la loro voce … consci che l’uomo non è un catalogo di bi­sogni da fron­teggiare burocraticamente con le cosiddette “ri­sorse sostenibili”, ma occorre ravvi­sare in lui un “volto” con cui condividere prima di tutto una presenza e poi le risorse umane comuni; la politica, poi, diventi il luogo dove non devono esserci più favori da con­cedere, bensì diritti da rispettare.

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