BASTA TRATTARE I MIGRANTI COME PACCHI

BASTA TRATTARE I MIGRANTI COME PACCHI

La vecchia Europa, dopo aver saccheggiato in lungo e in largo il Sud del mondo per costruire il proprio sviluppo economico, oggi le studia di tutte per tenere fuori dalle proprie mura i disperati, che fuggono da guerre, miseria, disastri ambientali. E dopo avere provato con i reticolati, con gli accordi per il respingimento marittimo da parte dei governi africani, con le leggi punitive contro le ONG, dedite ai salvataggi in mare, la strategia più innovativa si chiama deportazione: ossia il trasferimento altrove di quanti arrivano in Europa per chiedere asilo.

L’esperienza della Gran Bretagna

La prima nazione europea, ad avere abbracciato questa politica, è stata la Gran Bretagna. Era il 2022 e migliaia di migranti si accalcavano sulle coste di Calais, per tentare la traversata della Manica con imbarcazioni di fortuna. Ma, i pochi che riuscivano a raggiungere la costa britannica, invece di trovare accoglienza, trovavano ostilità, con un Boris Johnson, primo ministro conservatore, che an­nunciava di avere raggiunto un accordo con il Rwanda, per trasferire i richiedenti asilo in questo Paese. Secondo l’accordo, il governo ruandese avrebbe esaminato, preventivamente, le richieste, per dare, successivamente, asilo nel proprio Paese a chi ne avesse avuto i requisiti. Il tutto in cambio di un compenso da parte del governo di sua maestà. Ma, l’accordo trovò l’opposizione di alcuni richiedenti asilo che, ritenendolo contrario al diritto internazionale, si appellarono alla magistratura. Il procedimento si concluse nel novembre 2023, con un verdetto della Corte Suprema che dichiarava l’accordo illegale, in quanto il Rwanda non poteva essere considerato un Paese sicuro. Il governo, tuttavia, non si dette per vinto e, dopo avere introdotto dei correttivi, sottopose l’accordo alla ratifica del Parlamento che lo approvò nell’aprile 2024. Tuttavia, di lì a poco, in Inghilterra vennero indette nuove elezioni che si conclusero con la vittoria dei laburisti, intenzionati a non dare seguito al trattato col Rwanda, poi finito nel cassetto.

Meloni e la formula inglese in versione mediterranea

Nello stesso periodo, in cui in Inghilterra si discuteva la legittimità dell’accordo col Rwanda, in Italia il governo meditava come applicare la formula inglese, in versione mediterranea. Un modello che, probabilmente, prese forma nell’agosto 2023, allorché la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, trascorse alcuni giorni di vacanza in Albania, ospite del Primo Ministro Edi Rama. Gli esiti del sog­giorno si conobbero nel novembre successivo, quando Rama venne a Roma in visita ufficiale. In una conferenza stampa congiunta, Rama e Meloni annunciarono la firma di un protocollo d’intesa, tra Italia e Albania, in materia di gestione dei flussi migratori. Più in specifico, l’accordo prevedeva la cessione di alcune aree, da parte dello Stato albanese, su cui lo Stato italiano avrebbe potuto costruire e gestire, a proprie spese, delle strutture per migranti in procinto di entrare in Italia in maniera irregolare. Meloni precisò che, nonostante la capienza prevista fosse per tremila per­sone, si poteva immaginare un flusso annuo di 36mila migranti.

L’Albania cede all’Italia due appezzamenti di terreno

Inizialmente il Governo non pareva intenzionato a sottoporre il Protocollo all’approvazione del Par­lamento, ma dovette ripensarci dal momento che la scelta implicava lo stanziamento di fondi e la definizione di numerosi altri aspetti, che esigevano la pronuncia del Parlamento. L’iter parlamentare si è concluso il 21 febbraio 2024 con una legge di ratifica del Protocollo, corredato di vari altri articoli che ne disciplinano l’applicazione. Ricapitolando, l’Albania avrebbe ceduto all’Italia due appezza­menti di terreno, uno all’interno del porto di Shengjin, l’altro nell’entroterra, a una ventina di chilome­tri, in località Gjader: il primo lotto per ospitare uffici e altre strutture adibite alle procedure di sbarco, come il rilevamento dei dati anagrafici, visite mediche e l’eventuale avvio delle richieste di asilo; Il secondo lotto per ospitare edifici nei quali alloggiare i migranti in attesa di conoscere il proprio de­stino. Le due aree sono da considerarsi a tutti gli effetti territorio italiano, su cui vale la legislazione italiana, opera personale italiano, vigilano le autorità italiane individuate, nel caso specifico, nella Questura, Prefettura e Magistratura di Roma.

Non tutti i migranti possono essere trasportati in Albania

La legge di attuazione del Protocollo precisa, anche, che, nelle strutture albanesi, possono essere trasferiti solo i migranti raccolti nelle acque internazionali dalla Marina italiana. Giunti in Albania, i migranti possono fare domanda di asilo: quelli a cui viene riconosciuta la protezione saranno trasferiti in Italia, gli altri continueranno a soggiornare nelle strutture di Gjader in attesa di rimpatrio. Tuttavia, non tutti i migranti possono essere trasportati in Albania. Oltre ai minori e ai soggetti vulnerabili, sono esclusi anche i migranti provenienti dai Paesi considerati non sicuri, in quanto non garantiscono il rispetto dei diritti umani e politici. L’esclusione di questi ultimi non è dichiarata espressamente dalla legge di attuazione del Protocollo, ma la si deduce dal fatto che la procedura di esame delle do­mande di asilo, che può essere svolta in Albania, è solo di tipo accelerato. Una procedura abbreviata, secondo una legge del 2008, si può applicare solo ai migranti provenienti dai Paesi sicuri.

Quali sono i PAESI sicuri?

Il governo italiano ha stilato una propria lista che include anche il Bangladesh e l’Egitto; tali Paesi, però, non trovano il consenso di molti tribunali, secondo i quali i due Stati non rientrano negli stan­dard definiti dalla legislazione europea, che l’Italia è tenuta a rispettare. Fra i magistrati, che condi­vidono questa interpretazione, c’è anche Luciana Sangiovanni del Tribunale di Roma, che in occa­sione del primo invio di migranti in Albania, ordina subito il trasferimento in Italia di quelli di naziona­lità bengalese ed egiziana.

Lo stato di prigionia dei migranti trasferiti in Albania

Purtroppo, l’errata applicazione del concetto di Stato sicuro non è l’unico elemento di criticità, riguar­dante l’invio dei migranti in Albania. Un altro aspetto, altrettanto grave, è la loro detenzione. Una legge del 2008 sancisce che «il richiedente asilo è autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato fino alla decisione della Commissione territoriale». Diritto che, ovviamente, è precluso a chi viene rinchiuso in un centro costruito in un Paese estero. Tanto più che il protocollo con l’Albania precisa che «le competenti autorità italiane adottano le misure necessarie, al fine di assicurare la perma­nenza dei migranti all’interno delle aree, impedendo la loro uscita non autorizzata nel territorio della Repubblica d’Albania». In altre parole, il protocollo sancisce lo stato di prigionia dei migranti trasferiti in Albania, in aperta violazione degli articoli 10 e 13 della Costituzione, che garantiscono il diritto di asilo e l’inviolabilità della libertà personale.

Un’operazione piena di vizi a carico dei contribuenti italiani

Per un’operazione tanto piena di vizi, i contribuenti italiani pagano un conto piuttosto salato. Solo nel 2024, sono stati stanziati 45 milioni di euro per la costruzione delle strutture e 89 milioni per le spese di gestione. Ma, alla fine, per quale scopo? Purtroppo, anche leggendo gli interventi che si sono susseguiti nei due rami del Parlamento, in occasione dell’esame della legge di ratifica del Protocollo, non si trova la risposta a questa domanda. Per cui bisogna andare per deduzione. Per quanto ri­guarda Rama, il suo obiettivo è garantirsi il sostegno dell’Italia nel momento in cui sarà esaminata la richiesta di ingresso dell’Albania nell’Unione Europea. Per quanto riguarda Meloni, il suo obiettivo è poter dimostrare ai propri elettori di aver saputo tenere i migranti lontano dall’Italia. Conscia che l’idea di fermare i migranti col blocco navale era una “spacconata elettorale”, si è inventata la depor­tazione in Albania dei “raccolti in mare”, avendo cura di inviarci, soprattutto, quelli con bassa proba­bilità di ottenere il diritto di asilo, in modo da trattenerli in Albania, fino al rimpatrio. Così si specula sulla pelle dei disperati, in attesa che la coscienza collettiva consideri i migranti come vittime, verso le quali abbiamo un debito di riconoscenza, e non pacchi da accatastare dove ci fa più comodo. 

di Francesco Gesualdi

(Cfr. Presenza Cristiana 1/2025)

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