
09 Mag LA RIFORMA DEL SISTEMA SANITARIO: UN FUTURO DA RIDEFINIRE
Negli ultimi anni, il sistema sanitario italiano ha affrontato numerose sfide, tra cui la carenza di medici di base, le liste d’attesa sempre più lunghe e un accesso alle cure spesso difficoltoso per i cittadini. La necessità di una riforma strutturale del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è per molti versi evidente e il Governo ha avviato un percorso per migliorare l’efficienza e la sostenibilità dell’intero sistema. Tra le principali aree di intervento figura la riforma della medicina territoriale, con particolare attenzione al ruolo dei medici di base – medici di famiglia, figure chiave per garantire cure primarie accessibili e tempestive.
I medici di base (o medici di famiglia) rappresentano il primo punto di contatto tra i cittadini e il sistema sanitario. Tuttavia, negli ultimi anni si è registrata una progressiva diminuzione del numero di professionisti disponibili, aggravata dal pensionamento di molti di essi e dalla difficoltà di sostituirli con nuove leve. Questa situazione ha creato notevoli disagi, soprattutto nelle aree periferiche e rurali, dove l’accesso alle cure risulta più complesso. A ciò si aggiunga un’altra difficoltà: il numero eccessivo di pazienti assegnati a ciascun medico, perché attualmente molti medici di base gestiscono fino a 1.500-1.800 assistiti, con punte ancora più alte in alcune regioni, con conseguenze sui tempi di attesa per le visite e sulla qualità dell’assistenza.
La situazione attuale
Dal 1992, per legge, il medico di famiglia è un lavoratore autonomo, convenzionato col Servizio Sanitario Nazionale per i servizi che rende al paziente, servizi che, negli anni, la contrattazione collettiva ha ridefinito. Tuttavia a fare da spartiacque nella materia c’è senz’altro il Covid 19, tanto che gli Assessori Regionali alla Sanità di tutta Italia il 22 settembre 2021, a pochi mesi dalla pandemia, avevano sottoscritto un documento che stigmatizzava il profilo giuridico dei medici di famiglia e dei loro CCNL, ritenuti non idonei ad affrontare la gestione delle multi-cronicità, l’aumento delle fragilità, la programmazione dell’assistenza domiciliare, ecc.
Nel 2022 l’allora Ministro della Salute Roberto Speranza abbozzò la riforma del Sistema, prevedendo che i medici di medicina generale devono garantire 38 ore alla settimana di cui venti (non più 15) nei loro ambulatori e 18 presso le Case della Comunità (la vera novità della Riforma) che dalle 8 alle 20 accoglie i cittadini che hanno bisogno, ma con la caduta del Governo Draghi quella riforma non ha avuto alcun seguito…fino a quando il successivo Ministro alla Sanità del Governo Meloni, Orazio Schillaci, nell’autunno 2024, in previsione del nuovo anno, rimette mano al documento. La novità di maggior rilievo? I nuovi medici di base diventano dipendenti del SSN con versamento dei contributi all’INPS (come tutti gli ospedalieri) e non più all’ENPAM – l’ente di previdenza dei medici che, ad oggi, ha un patrimonio da 25 miliardi di euro.
Si tratta di una svolta, definita da più parti, epocale, indispensabile a garantire l’attività dentro le 1350 case della comunità da realizzare con i fondi PNRR, che però non gode del sostegno dell’ENPAM e della FIMMG, il sindacato dei medici di medicina generale, letteralmente sul piede di guerra tanto da minacciare la mobilitazione dell’intera categoria.
Il Governo ne sta discutendo da mesi ma di fatto la riforma è ancora lontana, almeno fino a quando il Ministro la porterà in Commissione Sanità ed al Consiglio dei Ministri, trattandosi di modifica di una legge su cui convergerebbero le Regioni – secondo fonti giornalistiche – ma non le parti direttamente in causa, come gli Ordini, i Sindacati e gli enti di previdenza.
I punti salienti della Riforma
Il progetto prevede che entro giugno 2026 vengano realizzate almeno 1.038 Case della comunità su tutto il territorio nazionale, obiettivo rimodulato rispetto alle 1.350 inizialmente previste. A poco più di un anno dalla scadenza, secondo i dati più aggiornati, risalenti però a giugno 2024, sono state completate solo 413 Case di comunità in 11 regioni. In ben 120 di queste non è prevista neanche l’attività di medici di assistenza primaria e in 137 non ci sono pediatri.
Previste dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), queste strutture mirano a offrire servizi sanitari integrati, con medici di base, specialisti e personale infermieristico che lavorano in sinergia per una presa in carico più efficace dei pazienti.
La figura del medico di famiglia cambia drasticamente, con l’intento di semplificare la gestione del personale a disposizione per la sanità territoriale.
Il governo sta lavorando a una riforma della sanità che prevede il passaggio dei medici di famiglia da liberi professionisti convenzionati a dipendenti del Servizio sanitario nazionale (SSN). Questo cambiamento, voluto dal ministro della Salute Orazio Schillaci, punta a integrare i medici nelle Case della Comunità, nuove strutture sanitarie territoriali finanziate dal PNRR per migliorare l’assistenza di prossimità. Tuttavia, la proposta ha sollevato forti critiche da parte della categoria e all’interno della stessa maggioranza. Tanto che è stata avanzata un’altra proposta alternativa da Forza Italia: i medici resterebbero autonomi, ma dovrebbero dedicare 20 ore settimanali ai propri pazienti e 18 alle Case della Comunità.
Novità anche per il percorso di formazione: la formazione specialistica diventerà universitaria e non più regionale. Oggi il medico neolaureato deve frequentare un corso di formazione triennale gestito dalle Regioni. L’idea dovrebbe essere quella di creare un corso di laurea specialistico di 4 anni, come avviene per i medici ospedalieri.
Le Sfide da Superare
L’idea fondamentale è quella di migliorare, per i cittadini, l’offerta del servizio sanitario a livello territoriale, riportando al centro, con le richieste relative alla salute, il paziente, con i medici di base quale primo punto di riferimento. Nonostante le buone intenzioni, la realizzazione della riforma non sarà priva di ostacoli. Uno dei principali problemi riguarda la necessità di un adeguato finanziamento: il sistema sanitario italiano ha subito per anni una progressiva riduzione delle risorse, e senza un investimento concreto le misure previste rischiano di rimanere sulla carta.
Inoltre, la resistenza al cambiamento da parte di alcuni professionisti del settore potrebbe rappresentare un ulteriore freno. Molti medici temono che la riforma possa limitare la loro autonomia e trasformare il loro ruolo in un’attività sempre più burocratizzata e meno centrata sul rapporto con il paziente.
Le Criticità
La riforma punta a rafforzare l’assistenza territoriale e a decongestionare i pronto soccorso, ma incontra diverse difficoltà:
- Carenza di personale: entro il 2030 circa 10.000 medici andranno in pensione, aggravando la situazione.
- Ritardi nella realizzazione delle Case della Comunità: su 1.038 strutture previste, solo 413 sono state completate. Inoltre, molte non hanno ancora medici o pediatri disponibili.
- Problemi di finanziamento: il PNRR copre la costruzione delle Case della Comunità, ma non i costi di gestione e del personale. Servirebbero 22 miliardi di euro entro il 2030 per rendere il sistema pienamente operativo.
Le proteste dei medici e il dibattito politico
I sindacati di categoria, tra cui la Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG), sono contrari alla riforma e denunciano il rischio di indebolire il rapporto fiduciario tra medico e paziente. Temono inoltre che il sistema pubblico possa diventare meno efficiente, favorendo il ricorso alla sanità privata e alle assicurazioni.
«Oggi il vero problema è riuscire a investire sui professionisti come risposta ai bisogni dei cittadini e la vera riforma non sta nel passaggio alla “dipendenza” previsto da questa bozza occulta senza padri né madri, ma nel mettere a lavorare sul territorio tutti i professionisti che servono». A parlare è Filippo Anelli, presidente della Fnomceo, medico di famiglia a Bari. «È una proposta che toglie libertà e autonomia ai medici. Noi siamo liberi professionisti autonomi convenzionati per garantire una serie di servizi. È controproducente perché mira a portare all’interno delle Case di comunità i medici di famiglia effettuando un ulteriore taglio di almeno 17mila professionisti a fronte di una carenza, già oggi, di 37mila medici. Favorisce ancora una volta una sanità fatta dal privato che andrebbe a occupare il vuoto di assistenza che si verrebbe a creare. Serve un’organizzazione diversa basata sulle Aft, le Aggregazioni funzionali territoriali previste per contratto, ma che le Regioni fanno fatica ad attivare. I medici oltre a fare le ore in ambulatorio dovrebbero prestare delle ore di servizio presso le Case di comunità che, guarda caso, non ci sono. La risposta per migliorare il sistema è stata già pensata, ma non è stata attuata e non è la dipendenza dal Ssn».
di Marilena Pastore
(Cfr Presenza Cristiana 3/2025)
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