LA GIOIA DELL’EDUCAZIONE

LA GIOIA DELL’EDUCAZIONE

Origine e fine: ti amo perché sei, perché tu sia

La gioia dell’educazione

Lo si dovrebbe scrivere nel contratto collettivo nazionale: non può essere docente chi non è felice. L’insegnante ha tra le mani oro vivo allo stato liquido, è responsabile non solo della felicità presente dei suoi discenti, ma anche della felicità futura delle persone che incontreranno.

È semplice: una persona felice e luminosa rende felice chi incrocia lungo il suo cammino; una persona infelice rende infelici. Ecco perché un docente non dovrebbe poter fare questo lavoro se non è in grado di accendere il futuro dei suoi discenti nonché del mondo delle loro relazioni presenti e future.

Accendi un alunno e salverai il mondo. Spegnilo e il suo/tuo mondo resterà al buio.

L’origine: ti amo perché sei

Non mi sembra azzardato affermare che l’origine dell’educazione risiede nell’amore incondizionato per l’essere umano. Un insegnante non può che essere un altruista e un docente egocentrico è un po’ un non senso. Meglio sarebbe se si dedicasse ad altro.

Al contrario, un docente “normale”, cioè un docente naturalmente innamorato dei suoi alunni, mani­festa la sua effettiva capacità d’amare nel riconoscimento del valore intrinseco di ogni persona, indi­pendentemente dalle sue capacità o dai suoi successi. Il suo è un amore che dice: «Ti amo perché sei». È un amore che accoglie e valorizza l’essenza stessa di ciascun discente.

In ultima analisi, se l’educazione è un viaggio, la stazione di partenza non può che avere sede nel “cuore pensante” (abbiamo già incontrato questa meravigliosa espressione di Hetty Hillesum) di cia­scun docente. Perché ogni docente dovrebbe poter dire ai suoi alunni: «Ti amo nella tua totalità. Non ti amo perché sei bravo, bello, studioso, rispettoso. Non ti amo perché sei come io vorrei che tu fossi. Ti amo per come sei. E ti amo perché tu possa essere, oggi e domani, il meglio di te stesso, al massimo delle tue potenzialità che io ho il dovere di provare a innescare e non a mortificare».

Il fine: ti amo perché tu sia

Proprio così. Perché, se l’obiettivo finale dell’educazione è la realizzazione piena dell’essere umano, educare significa aiutare gli studenti a scoprire e sviluppare il loro tesoro nascosto. Si tratta di una meta che richiede un lavoro arduo e faticoso, che comporta un impegno costante per il bene dell’altro, un desiderio di vederlo crescere e fiorire. Tanta fatica! Ma che meraviglia poter dire ai propri ragazzi e alle proprie ragazze: «Ti amo perché tu sia!».

In fondo, si tratta di non perdere mai di vista una verità di fondo, una sorta di stella polare: prima che docenti di italiano, matematica, storia o scienza, si dovrebbe essere docenti esperti in umanità, capaci di guardare negli occhi, ogni singolo giorno, i proprio discenti e dir loro, anche senza parlare: «Dimmi, qual è il tuo bisogno oggi? Come posso, oggi, aiutarti a essere il meglio di te stesso?».

Magari molti penseranno che non sia questo il compito di un docente, che il suo compito sia allenare abilità e competenze: lo penso anch’io, ma resto convinto che possa farlo molto meglio in un clima di empatia.

Lo diceva pure Dante: «Amor, ch’a nullo amato amar perdona» (Inferno, V, v.103). Quando un do­cente ama ed è riamato, può chiedere ai suoi ragazzi di gettare il cuore oltre l’ostacolo, può mostrare lui per primo come si debba fare per non arrendersi a difficoltà apparentemente insormontabili: ed essi lo seguiranno. Ne sortiranno meraviglie.

L’amore è un’arte

Mi permetto un paio di riferimenti a libri a me personalmente molto cari e che hanno segnato positi­vamente la mia adolescenza.

Erich Fromm, nel suo libro L’arte di amare, un classico dei testi di formazione del secolo scorso, ci insegna che l’amore è un’arte che richiede pratica, conoscenza e impegno. Io penso lo richieda ai docenti, prima che ai loro discenti.

Secondo Fromm, l’amore autentico non è un sentimento passivo, ma un’attività che coinvolge la cura, la responsabilità, il rispetto e la conoscenza. Aggiungerei: anche il senso di appartenenza. Ciascuna di queste parole andrebbe meditata, persino “ruminata”, a lungo e con attenzione. Mi pare si trattino di vere e proprie indicazioni di sostanza e di metodo per chi intenda essere, prima che fare, l’educa­tore. Con gioia.

L’amore è un’arte e un’arte è pure l’educazione. Non lo comanda nessuno, ma lo si può fare. Non lo si impara in un giorno solo, ma si può imparare. E lo si può fare ed imparare perché dà gioia: ai docenti, ai loro studenti e, a cerchi concentrici, al resto della Comunità: scuola, famiglia, città, terri­torio, nazione, mondo.

Vivere, amare, capirsi

Il secondo riferimento che vorrei citare è il libro Vivere, amare, capirsi, di Leo Buscaglia.

Noto anche come “Dr. Love”, Leo Buscaglia è stato un autore, oratore motivazionale e professore americano di origini italiane. È diventato celebre per i suoi libri e le sue conferenze sull’amore e la connessione umana.

Ha anche tenuto un corso chiamato “Love 1A” presso l’ University of Southern California. Si trattava di un corso nato in risposta al suicidio di uno studente e si concentrava sull’importanza dell’amore e della connessione umana. Buscaglia intendeva così esplorare temi legati all’amore, alla vita e alla comprensione reciproca, senza assegnare voti, poiché riteneva che non fosse possibile “fallire” in un corso sull’amore.

Vivere, amare, capirsi è il suo bestseller ed esplora l’importanza dell’amore come forza vitale e come strumento per migliorare le relazioni interpersonali. Si tratta di una lettura che mi sentirei di consi­gliare a chiunque, docenti, non docenti e studenti.

Cinque tappe, un solo cammino

Siamo giunti all’ultima di cinque tappe dedicate all’arte dell’educazione, un viaggio che ci ha portato a esplorare i vari aspetti e principi fondamentali di questo importante processo. Mi pare il caso di riassumerli in una sorta di retrospettiva finale.

L’arte dell’educare ci ha introdotto al concetto di educazione come un’arte, un processo creativo e dinamico che richiede sensibilità, intuizione e dedizione. Educare non è solo trasmettere conoscenze, ma anche formare caratteri, sviluppare competenze e coltivare valori. Si tratta di un’arte che ha il suo principio nel rispetto reciproco e si fonda sulla fiducia e sulla comprensione delle esigenze e delle potenzialità di ogni persona.

Il motore dell’educazione, identificato nella passione, è ciò che alimenta e sostiene l’intero processo educativo. La passione per l’insegnamento e per l’apprendimento è ciò che ispira educatori e studenti a dare il meglio di sé, a superare le difficoltà e a raggiungere obiettivi ambiziosi.

La via dell’educazione ci ha mostrato l’importanza dell’esempio e del camminare insieme. “Exempla trahunt” significa che gli esempi trascinano: gli educatori devono essere modelli di comportamento e di valori, accompagnando gli studenti nel loro percorso di crescita e di apprendimento.

Il fine dell’educazione è quello di formare esseri liberi e amanti. L’educazione deve mirare a svilup­pare persone autonome, capaci di pensare con la propria testa, di prendere decisioni consapevoli e di amare se stessi e gli altri.

La gioia dell’educazione è la quinta tappa del nostro percorso. Intendeva sottolineare l’importanza di trovare gioia e soddisfazione nel processo educativo. La gioia dell’educazione non è solo il risultato finale, ma anche il piacere di imparare, di scoprire nuove cose e di crescere insieme. È la gioia di vedere gli studenti svilupparsi, di condividere con loro momenti di successo e di superare insieme le difficoltà.

Buona arte, allora, e felice cammino!

di Paolo Farina

(cfr Presenza Cristiana 2025/5)

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