POVERTÀ EDUCATIVA

POVERTÀ EDUCATIVA

Non basta amare i giovani ma occorre che essi si accorgano di essere amati! È l’esperienza di alcune Caritas locali alle prese con progetti educativi. L’obiettivo è promuovere impegni comunitari contro la povertà educativa, creando alleanze collaborative durature, capaci di intercettare i bisogni reali dei minori e costruire percorsi personalizzati, soprattutto nei contesti di fragilità sociale.

Purtroppo “in Italia – sostiene Marco Rossi Doria, presidente della fondazione ‘Con i Bambini’ per­mangano forti disuguaglianze educative, territoriali e familiari. La povertà educativa è una forma grave e duratura di esclusione sociale, che colpisce soprattutto i bambini e i ragazzi provenienti da contesti svantaggiati”. Gli fa eco don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana: “Io credo che la povertà educativa non sia questione solo di minori. Per questo va affrontata all’interno di una comu­nità che si sa fare le giuste domande. Spesso i giovani non si sentono accompagnati nei momenti decisivi della loro vita. La comunità, che sa farsi le giuste domande, dovrebbe aiutare il giovane a discernere sulla sua vita, senza proporre modelli ideali, ma condividendone le fatiche delle scelte”.

La trasmissione intergenerazionale

Uno degli aspetti più preoccupanti della povertà educativa è la sua trasmissione intergenerazionale: una condizione che ostacola l’accesso a un’istruzione ed a una formazione adeguata, privando le ragazze ed i ragazzi di strumenti necessari per sviluppare pienamente le proprie capacità, realizzare le proprie aspirazioni e partecipare attivamente alla società. I bambini che crescono in famiglie con basso livello di istruzione hanno maggiori probabilità di riprodurre le stesse condizioni di svantaggio, perché non ricevono gli strumenti necessari per migliorare la propria situazione. Questo crea pro­fonde disparità territoriali, con alcune aree del paese più colpite rispetto ad altre. Fino ad alcuni decenni fa, infatti, il dibattito in Italia era incentrato, in modo quasi del tutto unidimensionale, sull’ab­bandono scolastico, un problema serio del nostro paese e una vera piaga nel Mezzogiorno, che pur tuttavia non rappresentava l’unica criticità da affrontare: l’Italia è, in effetti, tra i paesi che finanziano meno l’istruzione sia con fondi pubblici che privati.

La Caritas italiana, quale agenzia educativa, alza il tiro con il suo direttore, don Marco Pagniello: “La sfida educativa, oggi più che mai, è per noi una priorità rispetto alla quale pensiamo non basti una comunità educante che si forma e cresce in uno specifico territorio. Intorno a questa urgenza edu­cativa, è necessario generare connessioni, favorire la ‘contaminazione’, promuovere comunità di pratiche che, attraverso il confronto e lo scambio tra territori diversi, consentano di apprendere in­sieme e di arricchirsi reciprocamente: condividere il più possibile, dunque, per moltiplicare la ric­chezza della proposta”.

L’apporto della scuola

L’abbandono scolastico costituisce la punta di un iceberg del problema educativo. Stando ad alcuni dati, alla fine del secolo scorso l’abbandono era senz’altro il problema principale per la scuola ita­liana. Il 25% dei ragazzi tra 18 e 24 anni non aveva completato l’obbligo scolastico su scala nazio­nale e in alcune parti del Mezzogiorno questo tasso eccedeva il 30%. Nel miglioramento dei tassi di abbandono in questi ultimi venti anni pesa anche la variabile demografica, nel senso che, con una natalità decrescente, probabilmente diminuisce anche il disagio estremo in alcune fasce dovuto alla numerosità famigliare, e con esso calano gli abbandoni.

Ma affrontare la povertà educativa significa andare oltre l’ampliamento delle infrastrutture e degli investimenti in servizi come il tempo pieno e gli asili nido, che pure sono necessari. Quello che è ancor più necessario è un intervento mirato sulla qualità dell’insegnamento, sulla formazione degli insegnanti e sulla vigilanza sugli standard educativi uniformi su tutto il territorio nazionale. La scuola media, in particolare, si conferma un nodo critico nel percorso formativo degli studenti e richiede azioni specifiche di recupero, per evitare che le fragilità scolastiche si trasformino in insuccesso formativo permanente.

In ultima analisi, la lotta alla povertà educativa è soprattutto una questione di visione strategica e di politiche efficaci che sappiano ricostruire la fiducia degli studenti nelle opportunità di crescita e rea­lizzazione offerte dal sistema scolastico.

L’esperienza romana

Recentemente è stato stipulato un accordo di collaborazione tra Roma Capitale e Save the Children, per la realizzazione di interventi volti al contrasto della povertà educativa e allo sviluppo di comunità educanti inclusive e partecipative. L’accordo si fonda sulla condivisione della necessità di costruire strategie sistemiche e integrate per rispondere in maniera efficace alle sfide sociali che attraversano il territorio.

Tra le attività ci sono la realizzazione di azioni educative e sociali integrate, con attenzione ai contesti di maggiore fragilità; il sostegno alla formazione dei docenti e degli operatori, per rispondere in modo innovativo ai bisogni educativi; la valorizzazione delle scuole come spazi di comunità, capaci di ac­cogliere, ascoltare e orientare, perché solo attraverso alleanze solide e visioni condivise è possibile garantire a ogni minore pari opportunità di crescita, educazione e futuro.

In tutto questo c’è da mettere alla prova modelli di azione capaci di realizzare nei fatti la sussidiarietà, assumendo la centralità delle famiglie, che non sono “destinatari” bensì promotori e protagonisti dell’impegno educativo in contesti con carattere di forte esclusione e fragilità. Quindi una buona crescita passa attraverso un’alleanza educativa forte e inclusiva che, coinvolgendo scuole, associa­zioni, famiglie e territori, ha l’intento di ridurre lo svantaggio socioculturale, incontrare i diversi bisogni educativi, favorire l’emersione dei fattori di rischio e promuovere quelli protettivi, per rispondere in modo concreto alla povertà educativa e al disagio sociale dei territori interessati.

L’apporto governativo

Un segnale di attenzione, non senza polemiche, arriva dal Parlamento italiano, in maniera bipartisan, sulla volontà di proseguire sulla strada del contrasto alla povertà educativa minorile. Infatti, la Legge di Bilancio 2025, commettendo un gravissimo errore etico e politico, aveva cancellato il meccanismo che ha alimentato il Fondo istituito nel 2016. Ma la commissione Affari Costituzionali del Senato, attraverso il decreto legge milleproroghe, ha approvato due emendamenti che prorogano per il trien­nio 2025-2027 il fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile: di fatto, si prevede un mini-stanziamento di 3 milioni per ogni anno del triennio. Gli emendamenti arrivano a firma di Maria Stella Gelmini. «Nel nostro Paese – ricorda Gelmini – oltre 1,3 milioni di minori vivono in condizione di povertà assoluta: un disagio economico che spesso si traduce in divario educativo. Ma l’Italia ha il dovere di fermare questo trend, per non lasciare indietro nessuno e rispondere alle fragilità delle giovani generazioni». La senatrice afferma ancora che il suo gruppo ha presentato l’emendamento come “misura ponte” che consente di prorogare il fondo istituito nel 2016, senza mettere a rischio il lavoro fatto finora da terzo settore, scuole, enti pubblici e privati: iniziative che in questi anni, da Nord a Sud, hanno coinvolto numerose famiglie, portando una luce in tante realtà difficili. Infatti, disper­sione scolastica e marginalità sociale sono fenomeni drammatici che meritano una continuità d’azione.

Sarebbe stato gravissimo se un fondo che, negli otto anni dalla sua istituzione, ha consentito di realizzare progetti per oltre mezzo milione di bambini e ragazzi fragili, fosse stato cancellato con un “colpo di spugna”.

Le reazioni del Terzo Settore

La sociologa Chiara Saraceno, portavoce dell’Alleanza per l’infanzia, tra le prime a denunciare la possibile fine del Fondo, commenta:È una cifra poco più che simbolica rispetto al bisogno…Il valore di questo emendamento, se vogliamo darne una lettura positiva, è lasciare in piedi il meccanismo”. Saraceno spiega, inoltre, che gli interventi sostenuti dal Fondo partono dall’idea di creare un tessuto educativo complessivo, rivolto al benessere dei bambini e, per questo, spingono gli enti attivi sui territori a collaborare: “…non semplicemente a dividersi il lavoro, ma a pensare insieme cosa co­struire per il bene di bambini e bambine”.

In proposito, la portavoce del Forum Terzo Settore, Vanessa Pallucchi, ha ribadito che “Le risorse previste non sono sicuramente all’altezza della grande sfida che il Fondo è chiamato ad affron­tare. Le attività del Fondo già programmate o avviate proseguiranno, ma sulla prevenzione e sul contrasto della povertà educativa minorile riteniamo assolutamente necessari investimenti più decisi e politiche più strutturate”.

Massimo Ascari, presidente nazionale Legacoop-sociali, ha aggiunto che non basta destinare ri­sorse economiche: serve un modello di collaborazione stabile tra istituzioni, enti locali, terzo settore e società civile. L’Italia è un Paese che invecchia, con una natalità in calo e un’emigrazione giovanile crescente. In questo contesto, la scuola non può essere l’unico presidio per garantire pari opportu­nità ai minori. È necessario costruire e sostenere contesti educativi territoriali, come le parrocchie, quali centri aggregativi sul territorio, capaci di offrire un presente in vista di un futuro ai giovani.

(cfr Presenza Cristiana 2025/5)

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