29 Ott QUANDO LA MORTE BUSSA
Il camminare mesti e meditativi in questi giorni lungo i viali dei cimiteri, soffermandoci di tanto in tanto, come tra le pagine di un album, su delle foto che si stagliano dalle lapidi, nel ricordo di chi ci ha preceduto, può essere un atto di affetto e di saggezza ma può diventare anche un momento in cui raccogliamo la testimonianza delle comuni fragilità umane, per proseguire l’impegno che ha reso feconda la vita di chi ci ha lasciato.
Il cimitero: luogo della memoria
Il cimitero potrebbe essere così anche il luogo della nostra riprogrammazione personale, nella misura in cui sapremo far tesoro di storie ed eventi, a volte tutt’altro che lieti, ma che passano portandosi dietro un pezzo del nostro cuore e rendendoci umanamente più maturi.
Quando poi ci vengono a mancare, a volte in maniera tragica, i nostri cari, sembra che la vita non abbia più né presente né futuro. Lo scompiglio interiore è tale che i discorsi non sembrano dire nulla e le parole non comunicano più. L’atteggiamento comune è di sgomento, disorientamento, angoscia, rabbia: ci sentiamo scossi, quasi costretti e violentati a riflettere sul problema della morte.
D’accordo: la morte non è qualcosa di assurdo e incomprensibile, fa parte del processo naturale delle cose che stanno intorno a noi (in ogni essere vivente c’è un inizio e una fine). Ciò che non ha senso però non è la morte in sé che sconvolge, ma il modo imprevedibile e a volte violento con cui la morte ci raggiunge … lasciandoci nel vuoto e nel disorientamento.
La vita è sì un processo evolutivo nel corso del quale si operano delle scelte e si progetta un futuro, ma è assurdo che tutto questo sia interrotto dalla morte; anzi … ci si rende conto, ahimè, che non è vero che si ha sempre del tempo davanti…
La morte da esperienza comunitaria a “medicalizzata”
Purtroppo oggi c’è un minaccioso enigma che avanza e si fa più incombente di un tempo: si va verso la morte organizzata in una società anonima e disumana.
Ben lungi dall’essere esclusa dalla società, fino a non molti decenni addietro, la morte rivestiva una dimensione fortemente comunitaria e integrata nelle nostre società occidentali rispetto a oggi: era ammessa ed accettata come un aspetto e una fase importante della vita dell’essere umano. I bambini sperimentavano un contatto diretto con la morte; la potevano osservare sia per la strada che in casa. L’alta mortalità di allora e la promiscuità presente nelle case consentivano di avvicinare la morte ed imparare a prendere confidenza con essa.
Oggi la morte è diventata un’estranea: viviamo in una cultura che non sa più prendersi cura del morire e del morente. La morte, come la stessa vita dell’anziano, è sempre più “ospedalizzata” e “medicalizzata”, strappata alla vita familiare e sempre più consegnata alla gestione estranea del personale specializzato. Il morire si svolge, così, molto spesso in luoghi asettici e spersonalizzanti, in una condizione di solitudine reale ed emotiva, minacciato dall’anonimato e dall’indifferenza. Si aggiunga poi la fretta dei funerali, per cui tutto finisce con una forma di partecipazione convenzionale alle esequie, invio di fiori e di telegrammi, offerte benefiche in memoria ecc., senza tralasciare la spettacolarizzazione delle dirette televisive che creano odiens e quindi lamentele e diatribe di chi ne è stato escluso.
C’è una “qualità del morire”?
Si è assolutizzato la “qualità della vita”, al punto che spesso non sa più riservare alcuna attenzione alla “qualità della morte”: sappiamo curare il malato, ma non sappiamo consolare l’afflitto. Così la “buona morte” sfugge alla competenza medica esattamente come la “vita buona”.
Manca sostanzialmente uno spazio di riflessione e di elaborazione che sappia tradursi in messaggio propositivo, capace di accompagnare nel ciclo della vita gli individui, affinché prendano consapevolezza della limitatezza del vivere, per valorizzare la stessa vita elaborandone il senso, quando essa giunge a conclusione.
Gli sforzi principali del malato e dei suoi cari purtroppo riguardano lo scongiurare l’esito finale piuttosto che l’elaborazione di quel che attende chi sopravvive e chi lascia questo mondo; così si rende il morente uno spettatore dell’incapacità altrui di farsi carico del suo dolore.
A morire s’impara da giovani
Sarebbe troppo bello dare senso e dignità al morire, umanizzando l’ultimo passaggio con la restituzione al morente della dignità di interlocutore attivo (ars moriendi), là dove è possibile, e ai suoi cari la capacità di sostenerlo in questo passaggio.
Tuttavia, pur tra sogni e realtà, è possibile anche oggi vivere bene la propria morte. È possibile, sostiene Salvatore Natoli, se la si vive come esperienza di legame, se la si affronta come un compito: il proprio compito estremo. Allora essa appare come il compimento della propria vita, il capitolo estremo dell’arte del ben vivere… A morire s’impara da giovani!
A chi muore parrà di morire di meno, se muore per qualcuno, se vi è qualcuno che patirà per la sua perdita, ma che soprattutto si sentirà in obbligo di ringraziare l’Assoluto, perché quella vita c’è stata e perché quell’uomo è esistito. La morte oggi esige l’intensità, non la folla.
Tra rimpianti e speranza
Ogni uomo che muore ha in generale molte cose da farsi perdonare, ma morirà bene chi ha un’eredità da lasciare e non tanto le sue cose, ma se stesso. Per questo egli muore di meno, perché vi è qualcuno che lo raccoglie.
Per il credente e per coloro che si accingono a vivere nel rimpianto e nella speranza, la preghiera diventa un atto di ringraziamento a Dio del dono di questi compagni di viaggio affinché li accolga con le braccia spalancate e la preghiera comune accompagni a varcare la soglia della speranza che oltrepassa il dolore presente; questa diventi una vera sfida e una promessa sul futuro che guida la vita di coloro che restano, augurandoci che il silenzio, quale luogo del riflettere e del meditare, sfidi vittoriosamente il baccano regnante… diversamente alla morte del silenzio seguirà inevitabilmente la morte della parola e la fine di ogni stupore che rende graziosa l’esistenza.
Foto di RDNE Stock project da pexels.com a cura del Monaco del Mondo
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