Traccia di omelia della Domenica dell’Ascensione – 12 maggio 2024

Traccia di omelia della Domenica dell’Ascensione – 12 maggio 2024

 

LA VITA IMMORTALE

(At 1,1-11; Ef 1,17-23; Mc 16,15-20)

 

L’Ascensione è fatta coincidere liturgicamente con l’ultima del­le cristofanie pasquali; in realtà si confonde con la risurrezione stessa. Il passaggio definitivo di Gesù dal mondo della materia, della corru­zione a quello della gloria o della vita spirituale, im­materiale, eterna avviene nel mattino stesso di pasqua.

Gesù risorto non ha altra dimora se non presso il Padre. Ap­pa­rendo infatti alla Maddalena asserisce: «Ascendo al Padre mio e al Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (20,17). Evidentemen­te in quello stesso istante, non quaranta giorni più tardi: la sera stessa si presenta ai discepoli nel cenacolo quale plenipotenziario divi­no (20,21-23).

La comunità, fin dalle origini ha voluto separare l’avvenimento pasquale dall’ascensione per far convergere in un primo tempo l’at­tenzione dei credenti sulla metamorfosi o nuova nascita a cui Gesù è andato incontro risorgendo, e ha rinviato a un secondo tempo l’at­tenzione alla meta in cui si è trasferito. Si può parlare di un accorgi­mento didattico-pastorale, facile a capirsi anche se forse non piena­mente giustificabile, poiché tende a ritardare la comprensione del mi­stero della risurrezione.

La partenza di Gesù non è motivo di tristezza ma di esul­tanza, poiché non è una fuga, ma una salita trionfale verso il trono di Dio. I fedeli non rimangono sprovvisti della sua assi­stenza, ma possono riceverla in piena forma dall’alto dei cieli. Il var­co aperto da Gesù con l’Ascensione non verrà più colmato (cfr. Gv 1,29; Ebr 4,14).

L’ascensione segna infatti l’inizio della storia della chiesa, poi­ché dà avvio a questa presenza misteriosa, ma reale, di Cri­sto nella comunità credente. Si potrà sempre trovare chi s’incarica di richiamare visibilmente la sua presenza, non chi la sostituisce, poiché egli non è mai assente. Se lo fosse non ci sarebbe neanche la sua co­munità.

Prima lettura «Fu assunto in cielo» (At 1,2)

La primissima fase della storia della chiesa è riempita solo da Gesù; egli è l’unico protagonista, gli apostoli sono solo spettatori; ora essi ricevono le ultime conferme sull’esistenza del loro mae­stro, e le definitive istruzioni sul regno di Dio. La confidenzialità è quella di sempre: essi siedono a tavola con lui, lo interrogano, odono le sue risposte, le sue spiegazioni, e se qualche dubbio e mo­mento di insicurezza permane nel loro animo, viene chiarito e al­lontanato. A tal riguardo vengono ribadite le promesse ricevute; prima di tutte quelle del battesimo (o immersione) nello Spirito (Pentecoste). Gesù lascia i suoi definitivamente quando è ormai sicuro dell’avvio dell’opera da lui intrapresa (1,8-9).

Le parole di Gesù sono state chiare, ma ricevono un’ulterio­re ga­ranzia. Due testimoni (il numero due è per non lasciar dubbi sulla loro deposizione: cfr. Dt 19,15) vengono a darne conferma. Essi non attestano o certificano la realtà della risurrezione, ma la de­terminazione che essa ha avuto. Gesù che si è sottratto allo sguar­do dei suoi è entrato nella gloria del Padre; egli è vivo e se sa­pran­no attendere, e avranno pazienza, essi lo rivedranno un giorno in mez­zo a loro o si ritroveranno con lui.

Il primo dono che Gesù si appresta a offrire dal suo nuovo stato agli apostoli rimasti a lottare sulla terra, è il suo Spirito. È lassù che egli abita e da lassù che può essere inviato. Senza l’Ascen­sione, la sua venuta, o Pentecoste, non sarebbe stata perciò pos­si­bile.

Seconda lettura «A quale speranza vi ha chiamati» (Ef 1,18)

I cristiani sono coloro che credono in Gesù Cristo e vivono con­formemente alla sua «carità» (v. 15). L’autore non ha che da au­gurare ad essi un approfondimento della loro «conoscenza» di Dio, un’ulteriore «illuminazione» sul futuro di «gloria» che li at­tende, e soprattutto una maggiore comprensione del mistero di Cristo, della sua condizione celeste, della sua signoria sulle cose e sulla Chiesa.

Il passo di Ef 1,17-23 richiama il senso ultimo dell’ascensio­ne di Cristo. Si tratta di un’esaltazione che in precedenza, nella sua esi­stenza terrestre, egli non aveva conseguito (cfr. Mt 28,18; Gv 20,21-23). Il Cristo asceso al cielo è il Signore e il dominatore dell’universo (cfr. Fi 2,9-11). Forse è difficile tradurre in termini concreti, accessibili questa sovranità cosmica, ma non può esser per questo messa in dubbio.

La teologia è una libera interpretazione dell’esperienza di fe­de. Se quest’ultima è di per sé oscura, misteriosa, la sua ricostru­zione, nonostante le buone intenzioni di chi la compie, non può esser chiara. Se appare tale è segno che l’autore si è affidato alla sua immaginazione più che ai dati di cui (non) dispone.

La risurrezione che è esaltazione, glorificazione, intronizza­zione di Cristo è il perno della fede cristiana, perché su di essa si basa l’attuazione delle promesse fatte al credente. Ciò che è ac­caduto al «capo» o al primogenito dei risorti, si ripeterà nelle mem­bra. Gesù è il «capo della chiesa»; questa è il suo corpo, il suo com­plemento o completamento (pleroma) nel tempo. Tramite essa continua la sua opera di salvezza nella storia. I suoi seguaci sono chiamati a svolgere il compito che nella vita terrena Gesù svolge­va mediante il «suo corpo», ossia la sua umanità.

Vangelo «Fu assunto in cielo» (Mc 16,19)

(Per l’approfondimento cfr. https://dehonianiandria.it/lectio/)

L’attuale conclusione (16,9-16) è un’aggiunta al vangelo di Marco per non lasciar incompleta l’opera. Vi è come una «sinte­si» delle manifestazioni del Cristo risorto: in pratica un richiamo all’apparizione alla Maddalena (cfr. Gv 20, 11-18), ai discepoli di Emmaus (Lc 24,12-35), agli undici (cfr. Mt 28,18-20; Lc 24,36-42; Gv 20,19-23); infine un accenno all’ascensione (cfr. Lc 24,50-53).

La risurrezione sembra aver trovato impreparati gli stessi un­dici che rimangono incerti davanti agli annunzi che al riguardo giun­gono da vari testimoni, ma è uno schema catechetico che la chiesa delle origini ha adibito per renderne più credibile il messaggio. Un’accettazione facile, senza titubanze e riserve sarebbe apparsa acri­tica, quasi concordata, perciò sospetta. Non è stato facile neanche per gli apostoli comprendere e quindi accettare il mistero pasqua­le; se l’hanno accolto e ne sono per di più diventati bandi­tori, vuol dire che debbono averne avute sicure prove. La loro convinta pre­dicazione, soprattutto tenendo presenti le loro con­trarie predispo­sizioni, è già una prova inconfutabile.

La chiesa apostolica è l’annunciatrice, ma anche la testimone qua­lificata della risurrezione. La sua missione è relativa alla pro­secu­zione dell’opera del Cristo storico, ma soprattutto è attestati­va della sua nuova e attuale presenza nella storia. Egli vive e regna nei cieli, alla destra del Padre, ma da tale vertice continua la sua azione tra gli uomini, soprattutto mediante i suoi missionari.

La missione degli apostoli è la continuazione di quella di Ge­sù: «annunziare il vangelo» (cfr. Mc 1,14-15), che equivale a por­tare agli uomini la felicità, la pace, la salvezza che attendono. «Il van­gelo di Cristo» (1,1) è la «buona notizia» che il loro stato di vita è cambiato, deve cambiare. L’umanità è composta di pove­ri, in­felici, ma debbono sapere che questa loro condizione fa parte or­mai della storia passata. Non si tratta solo di una parola di con­so­lazione ma anche di un intervento obiettivo, fatto di gesti reali oltre che simbolici.

Il «battesimo» di cui parla il risorto non è un semplice rito, ma una scelta di Cristo, un’immersione nella sua morte e risurre­zione, direbbe Paolo (cfr. Rm 6,3). Esso annunzia i propositi del neofita che si dichiara pronto a morire per la stessa causa per cui Gesù è andato incontro al suo destino. Accettare il battesimo si­gnifica accettare di spendere la vita per attuare il disegno di Dio e continuare l’opera di Cristo; rifiutarlo equivale a preferire se stessi, la propria realizzazione dimenticando gli altri, per questo non si può non andare soggetti a «condanna», che in pratica è ar­resto o carenza di crescita spirituale.

CONCLUSIONE

Il Cristo risorto è uscito da questo mondo, ma non ha abban­donato i suoi seguaci. Ha solo cambiato dimora e condizione di vita. Non è più il servo di Jahvé, l’umile profeta di Nazaret, che i nemici erano riusciti a catturare e a uccidere, ma il plenipoten­ziario dell’altissimo. Sembra lontano ma è più vicino ai suoi di quan­to lo fosse in precedenza, ed è in grado di soccorrerli più di quan­to lo avesse potuto fare sino allora.

Il Cristo è un’esperienza aperta a tutti gli uomini. Bisogna che chi l’ha vissuta, fatta propria si incarichi di trasmetterla agli altri.

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