PAPA LEONE: LA PRIMA LEZIONE AI GOVERNANTI

PAPA LEONE: LA PRIMA LEZIONE AI GOVERNANTI

Con un sostantivo e quattro aggettivi, appena eletto papa, Leone XIV ha dato ai governanti la sua prima lezione, indicando la priorità da perseguire e le vie per attuarla. Di fronte a due guerre incan­crenite e una terza appena abbozzata fra India e Pakistan, il nuovo Papa ha voluto ricordarci che il bene primario di cui l’umanità ha bisogno è la pace. Una pace che, nel solco del messaggio di Cri­sto, deve essere disarmata, disarmante, umile e perseverante. Quattro caratteristiche che indicano non solo lo spirito da avere per garantire la pace, ma anche le strategie per costruirla.

Pace disarmata

La prima caratteristica, pace disarmata, è una chiara presa di distanza dal motto romano si vis pa­cem para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra, oggi rilanciata dall’Unione Europea col piano Rearm Eu, poi ribattezzato Readiness Eu per edulcoralo e renderlo più digeribile agli occhi della cittadinanza. Una strategia, quella del riarmo, che non solo non porta a risultati, ma che assorbe mi­liardi di risorse tolte alle soluzioni dei veri problemi dell’umanità rappresentati da fame, mancanza di acqua potabile, energia elettrica, alloggi, ospedali, scuole e da catastrofi provocate dai cambia­menti climatici. La pace disarmata significa che la pace si garantisce costruendo rapporti equi e co­struendo luoghi di conciliazione a livello internazionale.

L’equità

È un concetto ampio che non si limita a perseguire prezzi equi negli scambi fra nazioni, ma punta a garantire un’equa distribuzione delle risorse fra tutti i popoli, in modo da permettere a tutti di poter vivere dignitosamente. Il che richiede un cambio di paradigma soprattutto da parte delle popolazioni ricche. Fondamentalmente dobbiamo abbandonare il consumismo a favore della sobrietà. Il consu­mismo è una bestia insaziabile che ha bisogno di quantità crescenti di risorse ed energia. Un’impostazione che spinge inevitabilmente alla sopraffazione per aggiudicarsi le risorse a buon mercato presenti nei territori altrui. Lo testimonia non solo il colonialismo, ma anche il neocolonia­lismo che oggi si presenta col volto dello scambio ineguale, del land grabbing, dello strangolamen­to finanziario. Fino a ieri la lotta era per il carbone, il petrolio, i minerali ferrosi, oggi è per le terre agricole, i minerali rari, la biodiversità, l’acqua. L’unico modo per interrompere le guerre di acca­parramento è ripensare il nostro concetto di benessere, riportandolo nel perimetro di ciò che ci serve senza sconfinare nell’inutile e nel superfluo. Un compito non semplice perché si scontra con le no­stre pulsioni più profonde, ma con possibilità di successo se torniamo a dare il giusto valore alla sfe­ra affettiva, sociale, spirituale e più in generale agli aspetti relazionali che la logica materialista ten­de a mettere in ombra.

L’articolo 11 della nostra Costituzione

Per costruire luoghi di conciliazione dei conflitti, bisogna prendere sul serio l’articolo 11 della no­stra Costituzione là dove afferma la necessità di saper rinunciare a quote di sovranità, quando siano “necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Che tradotto signi­fica l’abbandono dei nazionalismi in una prospettiva di rafforzamento di istituzioni internazionali come le Nazioni Unite per la costruzione di regole sovrannazionali ispirate a logiche di equità e so­stenibilità per tutti.

La pace disarmante

Questa significa che la pace elimina il bisogno di armarsi perché non c’è nessuno da cui doversi di­fendere. Tanto più che nella logica degli armamenti non vince chi ha ragione, ma chi è più forte. E se proprio volessimo perseguire la logica del prepararci alla difesa, l’unico modo per fare vincere la verità è quello di garantirci un popolo profondamente convinto dei propri valori che difronte all’aggressore mette in atto la non collaborazione come ci hanno insegnato Gandhi, Martin Luther King, don Lorenzo Milani. L’alternativa, insomma è la difesa popolare non violenta basata sulla constatazione che nessun invasore può sopravvivere se si trova davanti un popolo che non è dispo­sto a collaborare. Ossia, che non obbedisce alle leggi, che non paga le tasse, che diserta tutte le atti­vità utili all’invasore per esercitare il proprio dominio. Molti pensano che si tratti di pura teoria, ma oltre all’esperienza indiana, nella storia ci sono stati altri casi di resistenza non violenta che hanno avuto successo: perfino contro i nazisti. Una resistenza portata avanti non da parte di intere popola­zioni, ma di alcuni settori, come successe in Norvegia nel 1942 da parte di un gruppo di insegnanti che si rifiutò di collaborare all’educazione nazi-fascista dei bambini. O nella stessa Germania del 1943 dove migliaia di donne tedesche non ebree riuscirono ad ottenere la liberazione dei propri ma­riti ebrei attraverso manifestazioni non violente di fronte alle carceri.

La difesa popolare non violenta può funzionare, ma ha bisogno di cittadini motivati e addestrati alla disobbedienza e alle tecniche di resistenza nonviolenta. Un risultato che si può ottenere investendo di più nella formazione ai valori costituzionali, e istituendo un servizio nazionale di difesa popolare non violenta funzionante, con la partecipazione obbligatoria di tutti i cittadini, sia uomini che don­ne, utilizzando qualche mese della propria vita per apprendere le tecniche della resistenza non vio­lenta e per rendere gratuitamente un servizio civile alla collettività.

Una pace umile

La terza caratteristica della pace è la sua umiltà. Ossia deve essere perseguita senza secondi fini. Un monito, questo, quanto mai necessario oggi, che stiamo assistendo a delle compravendite commer­ciali per la pace, come mostra l’accordo sui minerali preteso da Trump verso l’Ucraina o le assicu­razioni richieste da Europa e Stai Uniti per poter accedere alle risorse nel Congo come condizione per portare pace fra Rwanda e Repubblica Democratica del Congo.

Una pace perseverante ossia perseguita senza tentennamenti

Quindi, non opportunista, variabile in base alle situazioni, ma perseguita come principio di condotta in tutti i contesti. In altre parole la pace assunta come credo ancora prima che politico, come credo esistenziale. L’unica che può condurre alla pienezza della vita.

di Francesco Gesualdi

(cfr. Presenza Cristiana 5/2025)

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